Roberto Villani : 22 Aprile 2022 15:25
Autore: Roberto Villani
Data Pubblicazione: 22/04/2022
Nel precedente articolo parlavamo dei cyber reati che uno stalker compie verso una donna, ed abbiamo analizzato come il web riesca ad essere ottimo veicolo di proliferazione dei cyber-reati, purtroppo. Ulteriori vittime di questo uso sbagliato del web e dei device cui siamo legati, sono i minori. Molti giovani oggi anche sotto i dieci anni possiedono un profilo social, ogni piattaforma social è stracolma di video, storie, fotografie dove i nostri ragazzi e ragazze, si mostrano, comunicano, dialogano e interagiscono con tutto il mondo digitale.
Ma i nostri ragazzi e ragazze sono al sicuro esponendosi così ripetutamente? Purtroppo NO e questo è un dato di fatto. Molto spesso le cronache ci restituiscono notizie che vedono i ragazzi e le ragazze coinvolti in storie di cybercrime, queste storie se non opportunamente gestite, sia nella fase preliminare che in quella successiva all’evento, si trasformano in tragici eventi che possono sconvolgere la serenità di una famiglia.
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Come genitori abbiamo l’impegno totale e assoluto di educare ad una cultura digitale i nostri figli, cerchiamo di non delegare ad altri – la scuola per esempio – questo incarico, perché ogni ragazzo e ragazza ha una sua identità che spesso il metodo scolastico sottovaluta per logiche esigenze di uniformità, o per applicare i protocolli ministeriali che redatti da burocrati, spesso non forniscono quelle risposte che cerchiamo. Le esigenze moderne ci portano spesso a “lasciare” i nostri ragazzi da soli, e lo stress, la fatica e gli impegni quotidiani, finiscono per prendere il sopravvento soprattutto quando rientrando a casa ci si incontra mentre si sta cenando.
Se non ci curiamo delle giornate che i nostri ragazzi trascorrono, commettiamo forse il primissimo errore per far nascere il cyber-problema. Agli inizi del 2021, il caso della giovane ragazza di Palermo, ha sconvolto non poco la coscienza sociale e la comunità web. Antonella Sicomero aveva tre profili social e la sua morte, ancora sotto la lente degli investigatori, ha destato molte domande tra i sociologi e gli psicologi, nonché nei giornalisti d’inchiesta, riguardo questi profili social e la sua giovane età. Noi non vogliamo analizzare nessun genitore perché non è questo che vogliamo, ma dobbiamo prendere spunto da questa tragica vicenda e consolidare quella consapevolezza cyber che da sempre è il nostro mantra, per noi di RHC.
Le cronache riguardo la morte di Antonella Sicumero ci dicono che forse la giovane ragazza stesse partecipando ad una challenge, una sfida che viene lanciata sul social da parte di un “curatore” ossia colui che lancia la sfida, il quale richiedendo ai partecipanti una video prova di quanto lanciato in sfida, invita appunto gli sfidanti a compiere determinate azioni. Ricorderete tutti quella sequenza di persone che si gettavano un secchio d’acqua gelata in testa tra cui molti personaggi famosi, che spopolava tempo fa tra i social e la TV. Ebbene se la semplicità del gesto e la presenza di un elemento innocuo come l’acqua potevano stimolare solo chi al mare o in pantaloncini e ciabatte a sfidare il “curatore”, l’effetto video replica era assolutamente contagioso. La voglia di partecipare e quindi far vedere agli altri che anche noi potevamo fare la stessa cosa, ed eguagliare quel personaggio famoso, si diffuse come un virus e ci siamo ritrovati a gettarci dei secchi d’acqua in testa per mesi.
Il principio su cui convergono i cyber attacchi verso i profili dei giovani, è proprio legato a quel desiderio che molti ragazzi hanno di partecipare, essere protagonisti e bisogno di affermazione che li spinge a pubblicare centinaia di migliaia di byte in fotografie, video, storie sui loro profili social.
Le famose “catene” profetizzate da Frigyes Karinthy nel suo saggio del 1929 sono appunto tutti quei byte che i ragazzi creano nei social, e se molti ragazzi usano i social per divertirsi o passare qualche momento di relax, molti altri invece li usano in maniera distorta, trasformando quelle ore di relax in incubi, per molti genitori.
Ma quali sono i cyber attacchi più diffusi che ritroviamo nei giovani e nei cyber-bulli? Al primo posto sembra esserci il cosiddetto “flaming” ossia le lotte on line, che vedono ragazzi che frequentano le chat on line, affrontarsi con frasi aggressive, denigratorie e violente. Dall’affrontarsi sul web a darsi appuntamento in un luogo della città per “realizzare” quanto dichiarato in chat il passo è breve. Ed anche qui non ci mancano le notizie dei numerosi fatti di cronaca anche recenti avvenuti tra ragazzi minorenni e non, che hanno deciso di affrontarsi in diverse piazze italiane.
Dopo il flaming viene l'”harassment“: come base è simile al precedente, ma questa volta lo scambio messaggistico è intrapreso tra vittima e carnefice, i messaggi assumono forme sgradevoli, parole aggressive e denigratorie che il cyberbullo rivolge alla sua vittima, senza andare oltre.
Quando invece si va oltre, e dopo le sole parole scritte nei messaggi si passa anche ad azioni persecutorie reali si può parlare nuovamente di stalking, come dicevamo nel precedente articolo. Qui il cyber attacco si “apre” ulteriormente, perché formulare messaggi minacciosi comunicando alla vittima di compiere delle azioni che possono rovinare la reputazione, minacciarla di pubblicare fotografie compromettenti, diffondere notizie riguardo informazioni intime e personali, creare falsi profili utilizzando i dati della vittima e promettere prestazioni sessuali, sono tutte “varianti” del cyber attacco che il cyberbullo oramai divenuto stalker, riesce a compiere.
Risulta poi particolarmente inquietante il dato che emerge dalle analisi statistiche che vedono molte vittime dei cyber bulli, ignare di quanto accade intorno ad esse, a tal punto che riuscire a bloccare una escalation degli attacchi diventa difficilissimo. Molte delle giovani vittime non immaginavano minimamente come il compagno di banco o il vicino di casa con cui scambiavano video o foto, fosse in realtà il loro cyberbullo. E spesso rifiutano anche di credere che sia divenuto stalker, perché come nel caso degli adulti, o ripongono fiducia nel loro stalker, oppure si rifiutano per vari motivi di pensare che egli sia tale.
Come nel caso dello stalking tra adulti, anche il cyberbullo trova dei punti deboli nella sua vittima. Un ragazzo o una ragazza che non reagisce alle prevaricazioni per esempio, è il modello preferito di vittima. Se la vittima ha una debolezza fisica, si ritiene non adeguata al contesto in cui partecipa, è insicura o vive una condizione di solitudine, emarginazione o si ritiene poco attraente, allora questi elementi diventano linfa per il cyber bullo, che punta dritto su queste debolezze per affermare la sua presenza, sfruttando il device, o il PC.
Siccome parliamo di giovani, non possiamo credere però che il cyber bullo non sia anch’egli vittima. Spesso i cyberbulli sono vittime a loro volta di situazioni precarie all’interno del loro ambiente, se non sofferenti di patologie più gravi a livello emotivo e psicologico. Soggetti che lasciati soli, sviluppano odio, scarsa dimestichezza nelle relazioni sociali, aggressività, rifiuto di essere pari agli altri.
L’evoluzione del web e dei social vira sempre verso una maggiore sicurezza, in queste ore per esempio, la piattaforma di messaggistica più usata, WhatsApp ha introdotto la funzione per visualizzare le fotografie una sola volta, impedendo quindi una ulteriore diffusione della foto magari fatta a nostra insaputa. Avere una consapevolezza sempre costante e crescente delle evoluzione cyber e dei rischi che il web, i social ed anche la TV possono portare all’interno dei nuclei familiari è fondamentale. Una consapevolezza che aiuti lo scambio di informazioni, di conoscenza, di problemi, diffondendo saperi e expertise, come avviene tra i gruppi chiamati a contrastare il fenomeno.
Pensiamo per esempio ai gruppi di lavoro scolastici, i professionisti del settore medico psicologico, criminologi e sociologi, e non ultime le Forze dell’Ordine, che sono chiamate a svolgere indagini delicate, a trovare soluzioni rapide ad un complesso di eventi causati da un “like” innocente su una fotografia o un video, soluzioni a volte anche invasive, ma che non vorremmo lo fossero. Confrontarci tutti, evitando come dicevamo all’inizio, di delegare questi compiti ad altri, e collaborando soprattutto con i nostri figli, è certamente il miglior modo per respingere i cyber attacchi che qualsiasi bullo voglia portare ai nostri figli.
Leggi anche: Stalking e cyber bullismo: non dimentichiamo | Prima parte
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