
Daniela Farina : 16 Settembre 2023 08:56
Attualmente nella nostra società si assiste ad un comportamento costante: quello di “mostrarsi” sui social.
E con i social è ormai possibile condividere praticamente qualsiasi tipo di contenuto.
La rete viene usata dai più giovani anche per divulgare registrazioni di contenuti di violenza (sessuale o fisica),noncuranti delle possibili ripercussioni, conseguenze legali o danni psicologici inflitti alla vittima.
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Vediamo insieme cosa spinge i giovani a compiere una violenza di gruppo, pubblicandone il relativo contenuto.
Nel mondo digitale, le immagini trasmesse hanno il potere di comunicare pensieri ed emozioni e di sottolineare la presenza del Sé.
Mediante quindi l’esibizione di filmati ,la persona oltre a definire il proprio Sé, può soddisfare due bisogni: il bisogno di ammirazione e quello di appartenenza. Questi ultimi due possono essere soddisfatti dalla dimensione dell’amplificazione.
Lo stupro compiuto dai giovani in gruppo permette di consolidare l’unione e le regole del gruppo e di svolgere un ruolo importante nella violenza esercitata. E la pubblicazione attraverso i dispositivi digitali ne rafforza il valore.
Negli ultimi tempi esiste un fenomeno che gli psicologi conoscono come “disumanizzazione dell’altro”
È un processo psichico che spinge a considerare l’altro come un oggetto perché ha delle caratteristiche diverse dalle proprie.
Alla base rintracciamo un meccanismo di difesa arcaico, la scissione.
Questo è ciò che accade nel branco: chi è dentro è portatore di valori giusti e condivisi per quanto aberranti, chi è fuori finisce per rappresentare una diversità che non si riesce a tollerare.
“E allora l’altro diventa un oggetto da possedere e sopraffare”. Questi ragazzi giovanissimi sembrano incapaci di trasformare la differenza dell’altro in risorsa ma il gruppo consente loro di provare potere e sicurezza a discapito di un sano senso di responsabilità.” (Armando Cozzuto presidente degli psicologi della Campania)
In sintesi, nel caso dello stupro di Palermo, la condivisione sui social prova la convinzione di dimostrare in questo il loro valore.
Caivano e Palermo testimoniano ancora che” la violenza è nella maggior parte dei casi perpetrata dagli uomini nei confronti delle donne che continuano ad essere percepite con un ruolo di genere subordinato rispetto ai maschi”
Le cause di alcuni comportamenti violenti possono scaturire sia da disturbi di personalità (disturbi antisociali, borderline e narcisistico) che da disturbi di dissonanza cognitiva ed empowerment distorsivo.
Quest’ultimo è un senso di potere e controllo che deriva dalla volontà di umiliare e degradare la vittima. Un senso che rafforza il delirio di onnipotenza.
Anche uno stato di mancanza affettiva, derivante da un disagio sperimentato in famiglia o nella società può spingere a compiere tali azioni. Ad esempio, un giovane che si sente privo di un percorso gratificante di accompagnamento alla crescita e all’autonomia.
Negli ultimi anni, i ragazzi sono sempre più fragili ed il covid ha sicuramente accelerato alcuni processi accentuando quadri sintomatologici e creandone di nuovi.
Viviamo in una società liquida dove i riferimenti sociali si perdono e dove c’è sempre meno spazio per la fragilità ed il fallimento, fattori necessari per confrontarci con il limite.
Cosa fare?
Partire dall’aspetto sociologico del fenomeno scandagliando quello psicologico e didattico potrebbe essere l’unico punto di partenza.
“Le violenze sessuali di gruppo avvenute a Palermo e Caivano sono fatti che riguardano i temi della sicurezza e della prevenzione ma coinvolgono e devono coinvolgere sempre più l’educazione dei ragazzi ed il mondo della scuola” (Matteo Piantedosi, ministro degli interni)
Bisogna introdurre nelle scuole l’educazione al rispetto ed alle emozioni.
I giovani sono lo specchio degli adulti.
E spesso sono privi di un punto di riferimento all’interno della sfera familiare o sono vittime del cattivo esempio di alcune figure nel mondo dei social.
Facebook, Tik ToK, Instagram,Twitter sono strumenti di condivisione e rappresentano forme straordinarie di comunicazione.
Si tratta di una rete sociale virtuale che crea nuove e diverse relazioni, anche se comporta dei rischi per la sfera personale.
Se uno strumento tecnologico di per sè non è buono o cattivo ma dipende dall’uso che se ne fa, possiamo facilmente immaginare come una corretta awareness possa migliorare questa emergenza.
I ragazzi non nascono sapendo già quali sono i codici di comportamento giusti o sbagliati per tutte le attività della loro vita.
È importante rendere i ragazzi consapevoli, attenti e informati sul tema della violenza e dei meccanismi culturali che la generano e alimentano.
È una vera emergenza. Diamo sempre la colpa a qualcosa di esterno, come i social o le conseguenze della pandemia ma siamo sicuri?
Facciamoci alcune domande.
Questa mancanza di senso del limite, è tutto carico dei due anni di pandemia, oppure la pandemia non ha fatto altro che evidenziare più velocemente una profonda inquietudine generazionale, non mediata da famiglia, scuola, società?
Esiste forse un problema con i genitori se in questa società si chiede ai figli di essere se stessi ma di fatto poi devono andar bene ai genitori ?
Lockdown e social hanno solo fatto emergere il grande problema: la fragilità di adulti e ragazzi.
Daniela Farina
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