Redazione RHC : 11 Settembre 2023 07:29
A cura di: Noemi Ferrari e Massimiliano Brolli
Dopo l’intervista al Prof. Andrea Morello dell’ARC Center of Excellence for Quantum Computation della University of New South Wales in Australia, il gruppo che studia la quantum communication di Red Hot Cyber, continua la rubrica sulle “interviste quantistiche” con il Prof. Simone Severini, altro scienziato italiano e “big player internazionale”.
Simone Severini è il direttore responsabile delle tecnologie quantistiche presso Amazon Web Services (AWS) dal 2018. Ricopre anche un incarico accademico come professore di fisica dell’informazione presso la facoltà d’ingegneria della University College London (UCL), dove ha lavorato dal 2009.
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Ha contribuito ad avviare collaborazioni tra università e industria con aziende come Google, Lockheed Martin e Siemens. Ha aiutato a co-fondare startup come Phasecraft e Cambridge Quantum Computing (ora Quantinuum). Il Prof. Severini ha ottenuto un dottorato di ricerca presso l’Università di Bristol (2003) con Richard Jozsa, uno degli inventori del campo della computazione quantistica, e una laurea in Filosofia presso l’Università di Firenze (1999). Vive a Seattle.
Noemi Ferrari, responsabile del gruppo del Quantum Computing di Red Hot Cyber e Massimiliano Brolli, hanno intervistato il Prof. Severini che ci ha concesso gentilmente un’intervista e fornito il suo punto di vista per comprendere oggi la ricerca quantistica dove ci sta portando.
RHC: Intanto grazie professore per averci concesso la possibilità di poterla intervistare. Andando a leggere alcune sue biografie in rete abbiamo trovato una cosa molto affascinante. Lei ha studiato Filosofia e Fisica Quantistica, due materie apparentemente molto distanti. Cosa lega queste due materie nella sua esperienza personale? Ci può raccontare un aneddoto o una storia su come è iniziata la sua passione per la Fisica Quantistica?
Simone Severini: Ci sono molti punti di contatto tra fisica quantistica e filosofia. Da un lato, la fisica in generale, intesa come disciplina che include la fisica quantistica, cerca di parlare del mondo col quale possiamo interagire e quindi osservare attraverso i nostri sensi o gli strumenti tecnologici da noi costruiti. Dall’altro lato, la filosofia parla del mondo a cui possiamo pensare con coerenza logica. E a volte questi due mondi s’intersecano con dinamiche misteriose. Tradizionalmente, la fisica quantistica, in maniera specifica, ha attirato e attira un buon volume di discussioni filosofiche. Prima di tutto perché è una teoria il cui formalismo si basa su assiomi, cioè quasi una teoria costruita a tavolino attraverso considerazioni di carattere matematico. Già questo è un ginepraio filosofico di per sé. Secondo, perché propone descrizioni di fenomeni paradossali e in un certo senso sia controintuitivi che controversi, come correlazioni tra eventi distanti tra loro, il famoso principio di sovrapposizione, la contestualità, il problema della misura, ei suoi rapporti, abbastanza oscuri, con la teoria della relatività, per esempio. Io ho studiato filosofia a Firenze nella seconda metà degli anni novanta. Onestamente non ho chiarissimo il perché di questa scelta. Mi ci sono trovato. Alle superiori ho cominciato a sviluppare una qualche attrazione perversa per tutto ciò che c’è di rigoroso, ma a scuola in matematica non sono mai andato bene. Mi distraggo facilmente e perdo il filo. Andavo meglio in italiano. Quindi sono cresciuto con la paura di studiare matematica. Dopo tanti anni e articoli scientifici che ho contribuito a scrivere, battendoci contro delle discrete musate, la paura me la sono tolta, ma un certo timore reverenziale è rimasto. Nel 1996 conobbi la professoressa Maria Luisa Dalla Chiara, che mi consigliò di leggere alcuni libri divulgativi: Ombre della mente. Alla ricerca della coscienza di Roger Penrose e Alice nel paese dei quanti. Le avventure della fisica di Robert Gilmore. Le devo molto. Poco dopo iniziai a scaricare dal web articoli di informatica quantistica trovati a caso nell’arXiv — con dei modem medievali di una lentezza esasperante. E da allora non ho più smesso di scaricarli, anche oggi che da svariati anni non lavoro più come scienziato. Ognuno ha i suoi vizi…
RHC: Potrebbe spiegare, in modo semplice, cos’è un computer quantistico? In cosa si differenzia rispetto al computer classico?
Simone Severini: In soldoni, un computer quantistico è una tecnologia di calcolo ad alte prestazioni che promette, per certi problemi, un vantaggio rispetto a tutti gli altri approcci conosciuti. Tutti. Il vantaggio più importante è la velocità di calcolo. Diceva Richard Feynman che ci possono essere tanti modi diversi per descrivere lo stesso oggetto, e non è soltanto una questione di aggiungere dettagli. Un pensiero così calzante per il computer quantistico. Nell’ambito della nostra intervista, mi piace condividere un’immagine mentale del computer quantistico diversa dalla calcolatrice, ma più vicina a una macchina capace di “modificare la materia”. La macchina è composta da due parti: una parte compie una sequenza di operazioni su una collezione di oggetti nel mondo fisico, modificandoli; un’altra parte è uno strumento di misura che osserva le proprietà di tali oggetti alla fine della sequenza. Ecco, tali oggetti sono appartenenti a quel regime il cui comportamento è governato dalla fisica quantistica. Dunque oggetti nanoscopici come atomi, cioè le componenti della materia, o come fotoni, cioè le componenti della luce, tanto per fare riferimento a degli oggetti quantistici. Ma ce ne sono altri. La nostra macchina compie operazioni fisiche modificando tali oggetti. Le operazioni possono essere interpretate come i passi di un algoritmo, e quindi come i passi di un processo di calcolo. Ma il calcolo è quasi un incidente di percorso, solo nel caso volessimo pensare alla macchina come un calcolatore, piuttosto che a un apparato di natura squisitamente fisica. Ogni descrizione del computer quantistico che procede verso dei dettagli sulla sua costruzione richiede la definizione di qubit. Il qubit è la componente fondamentale del computer quantistico e un analogo del bit. Mentre il bit è qualsiasi oggetto fisico che può essere messo in una di due configurazioni distinguibili tra loro attraverso l’osservazione, come aperto/chiuso, acceso/spento, alto/basso, per fare degli esempi. Questa definizione informale si applica tale e quale al qubit, con la differenza di aggiungere il termine “quantistico” dopo “oggetto fisico”. Un fotone e la sua polarizzazione danno un qubit. Un atomo e il suo spin danno un qubit. La cosa interessante è che un qubit può essere in una sovrapposizione dei suoi due stati possibili. Ovvero ontologicamente può avere una configurazione per cui questi due stati coesistono allo stesso tempo. È per via del principio di sovrapposizione, un fenomeno difficile da visualizzare e intuire. Questo principio fa sì che il calcolo andrà a creare una molteplicità di cammini computazioni diversi, cioè sequenze di configurazioni della macchina che da un input vanno verso gli output con una certa probabilità. Proprio in base al principio è possibile orchestrare i cammini così da amplificare la probabilità del cammino che porta al risultato corretto e cancellare tutti gli altri cammini. Sto descrivendo grossolanamente una situazione impossibile da ricreare con un computer non-quantistico, o col termine usato nella domanda, un computer classico. La differenza importante sta nella fisica della macchina e quei fenomeni ammessi da tale fisica.
RHC: Perché la Computazione Quantistica rappresenta un “Nuovo Paradigma di Calcolo”? Quali problemi matematici può risolvere un computer quantistico rispetto a un computer classico?
Simone Severini: Mi piace rispondere alla prima domanda facendo riferimento ai modelli della computazione. Intorno al 1930, Alan Turing definì un modello astratto di computer che rappresenta qualsiasi tipo di macchina per fare calcoli, indipendentemente dal modo in cui è costruita. Può essere un abaco, la macchina di Babbage, la Calcolatrice Elettronica Pisana, il Macintosh, i nostri portatili, o Frontier, che è il più potente supercomputer al mondo oggi. Il comportamento di tutte queste macchine è rappresentabile attraverso la cosiddetta macchine di Turing. Stiamo parlando di un apparecchiatura astratta composta da un nastro infinito suddiviso in caselle e da un cursore/pennino che scrive sul nastro mentre questo scorre a sinistra e a destra. Il computer quantistico non è rappresentabile attraverso la macchina di Turing, ma ha bisogno di qualcos’altro. Perchè? La macchina di Turing non è in grado di rappresentare fedelmente il principio di sovrapposizione. Perché un pennino non può scrivere due simboli diversi su due pezzi di carta allo stesso tempo, tanto per visualizzare la faccenda concretamente. La risposta alla seconda domanda è breve: non l’insieme dei problemi matematici risolvibili attraverso un computer quantum coincide con quello dei problemi risolvibili attraverso un computer classico. Ogni problema matematico però ha una complessità che si può definire come il tempo che serve a un computer per risolvere il problema. I computer quantistici dal punto di vista teorico risolvono alcuni problemi in un tempo esponenzialmente più piccolo rispetto a qualsiasi altro computer, dove esponenzialmente significa passare da secoli a minuti, utilizzando un’immagine forte. Quali sono questi problemi? Oggi non conosciamo una zoologia completa. Ci sono solo degli esempi teorici il cui valore sarà verificato empiricamente, una volta implementati nell’hardware.
RHC: Ad oggi non esiste un computer quantistico in grado di risolvere problemi reali. Potrebbe spiegarci in modo semplice quali sono le principali difficoltà incontrate nella realizzazione di un computer quantistico?
Simone Severini: I calcoli eseguiti da un computer quantistico sono soggetti a errori dovuti alle interazioni tra le componenti del computer quantistico e il mondo esterno. Tali interazioni, sono indesiderate e inevitabili. Portano a errori che, se non corretti, si accumulano e diventano dominanti fino a rendere il computer totalmente inutilizzabile. Costruire un computer quantistico a scala è un problema di natura sia scientifica che ingegneristica. Nessuno conosce la tecnologia migliore per costruirlo e ogni approccio seguito ha i suoi vantaggi e svantaggi. Tutti gli approcci hanno però bisogno di supporto finanziario notevole sulla lunga distanza, di gruppi di persone con competenze spesso molto diverse tra loro, e di strumenti di fabbricazione sviluppati specificatamente. Una pietra miliare sarà la costruzione di computer quantistici che possono tollerare gli errori.
RHC: Il Quantum Computing è una tecnologia sulla quale moltissime aziende stanno investendo ingenti capitali con lo scopo di arrivare per prime a sviluppare degli algoritmi che possano essere utilizzati per degli scopi commerciali. Qual è lo stato dell’arte del Quantum Computing oggi? Quali sono, secondo lei, i settori in cui l’utilizzo del Quantum Computing potrebbe apportare migliorie considerevoli?
Simone Severini: Non sono sicuro che l’espressione “moltissime aziende” sia accurata. Ci sono startup, laboratori nazionali di ricerca, grandi enterprise, che stanno lavorando sodo nello sviluppo dell’hardware, ma il lato più vicino al design degli algoritmi è più un campo di natura accademica. Anche per il fatto che è intuitivamente più difficile creare valore con un algoritmo e non dobbiamo sottovalutare la difficoltà che s’incontra nel creare applicazioni dei computer quantistici. Non c’è una ricetta fissa per articolare applicazioni, cosa che è lavoro d’artigianato. I problemi su cui questa tecnologia promette di avere un impatto si dividono in due categorie: problemi naturali e problemi tecnologici. I problemi naturali riguardano simulare la fisica. Quindi spettroscopia, modelli di superconduttori, tecniche per esplorare la struttura di molecole, simulazione in fisica nucleare e delle particelle, simulazione di processi chimici come l’azotofissazione — importante per ottenere fertilizzanti migliori — o il design di nuovi materiali per costruire batterie. E c’è ancora poca chiarezza sull’uso in farmacologia per identificare molecole candidate a certe funzioni. I problemi tecnologici hanno a che fare con la finanza, l’apprendimento automatico, e la crittografia. In finanza è probabile un vantaggio in simulazioni Monte Carlo, ottimizzazione di portafoglio, e nella prezzatura delle opzioni. Malgrado una crescita forte dell’interfaccia tra apprendimento automatico e computazione quantistica, ancora i benefici non sono chiari, indipendentemente dalla qualità dell’hardware. La storia è diversa per la crittografia dove conosciamo già algoritmi con applicazioni rivoluzionarie. Per concludere, credo sia bene accettare che oggi non è evidente il cosa si può fare con un computer quantistico. Credo che non bisogna forzare delle analogie con i computer classici. Le applicazioni emergeranno in parallelo alla costruzione dell’hardware e determinarle in questo momento corrisponde a futurologia. Considerare i computer quantistici come strumento di ricerca è una posizione generica ma nella quale mi sento più al sicuro.
RHC: In termini di tempo, quando un computer quantistico sarà in grado di risolvere problemi reali?
Simone Severini: La risposta breve è “non ho idea”. La risposta lunga segue. Prendiamo una metafora: andare su Marte. Costruire computer quantistici non credo sia come andare su Marte, nel senso che, su Marte, “ci vai o non ci vai”. Un fatto binario anche se l’innovazione sviluppata durante la preparazione del viaggio sarà importantissima. Per hardware quantistico ogni passo è un’innovazione ed è probabile che emergeranno delle architetture ad hoc per risolvere problemi specifici nei prossimi cinque anni e prima di avere il computer quantistico dei sogni, cioè prima di arrivare a Marte. Anche la definizione di “problemi reali” è importante, ma qui diventa una discussione semantica e anche un po’ filosofica. Se campionare in modo veloce da certe distribuzioni di probabilità difficili da ottenere è un problema reale, allora ci siamo già. Se risolvere un problema di natura industriale che abbia un impatto sul profitto di un’azienda, allora c’è ancora lavoro da fare e l’incertezza è maggiore.
RHC: Attualmente la ricerca si sta focalizzando sulla comprensione di quale sia la migliore architettura con cui realizzare un computer quantistico. Potrebbe fornirci una panoramica generale dei diversi tipi di architettura possibili? Secondo la sua opinione, qual è quella più promettente?
Simone Severini: Chi costruisce computer quantistici oggi? Persone che prima lavoravano in un laboratorio universitario su esperimenti di un certo tipo ben preciso. Questi esperimenti hanno suggerito a ognuna di queste persone la possibilità di imbarcarsi in un’avventura più lunga e costosa che corrisponde a costruire hardware, un’avventura al cui centro c’è la convinzione di avere la strategia giusta. Ma abbiamo oggi un bestiario medievale pieno di strategie, tutte dipendenti dalla convinzione di chi costruisce macchine, e poca apertura mentale all’errore e al fallimento. C’è inoltre una tendenza, come in tante tecnologie nuove, ad accostare al lavoro di costruzione una narrativa che prova a giustificare le scelte tecniche compiute e a rassicurare gli investitori. Spostandoci poi dal lato sociologico al lato tecnico, la gente prova a costruire qubit con tutto quello che ha a disposizione e di cui conosce la fisica — quando hai un martello, tutto sembra un chiodo. Fotoni, atomi neutri, ioni, pezzetti di materiale superconduttivo con sopra una giunzione di Josephson, semiconduttori. Ogni approccio ha i suoi vantaggi e svantaggi. Per adesso la comunità scientifica ha piú esperienza con i qubit superconduttivi. Gli atomi neutri stanno emergendo come una piattaforma promettente. Ne riparliamo tra un due, tre anni.
RHC: La ricerca sulla Tecnologia Quantistica è stata definita “la nuova corsa allo spazio”. Gli investimenti sembrano promettere il risultato sperato? Secondo la sua esperienza, è d’accordo con questa affermazione?
Simone Severini: La corsa allo spazio ha portato innovazioni importanti, dal GPS alle lampade a LED, al moderno computer portatile. Ben venga l’analogia con la corsa allo spazio se le tecnologie quantistiche porteranno altre innovazioni importanti. Ogni investimento in aree con una componente scientifica forte dovrebbe guardare al lungo, se non lunghissimo termine. È quindi fondamentale non creare aspettative sbagliate sul potenziale ritorno degli investimenti. Non stiamo parlando di una tecnologia matura, con un mercato già formato, con un profilo di cliente ben definito, ma di esperimenti scientifici eseguiti da macchine in continua evoluzione. Attraverso questa prospettiva, si può dire che gli investimenti sia pubblici che privati stanno dando risultati notevoli. Purtroppo la cooperazione tra governi potrebbe e dovrebbe essere rafforzata. Per il calcolo, in generale, dovrebbero esistere centri di ricerca come il CERN, per esempio. Per quello che ne so io, non ce ne sono, ed è occasione persa.
RHC: Ad oggi, il protocollo RSA costituisce il metodo crittografico più utilizzato per proteggere le informazioni. Nel marzo 2021 è stata pubblicata una versione ottimizzata dell’Algoritmo di Shor in grado di violare tale protocollo crittografico in soli 177 giorni utilizzando un computer quantistico a 14000 qubit. Cosa pensa a riguardo? La sicurezza delle informazioni sarà realmente minacciata nei prossimi 10 anni?
Simone Severini: La crittografia a chiave pubblica e schemi per firme digitali potranno, un giorno, essere decifrati dai computer quantistici. In particolare, questa vulnerabilità è la conseguenza di una procedura teorica conosciuta già dagli anni 90 che si chiama algoritmo di Shor, come menzionato nella domanda. Tale procedura risolve in un tempo ragionevole il problema del logaritmo discreto. Il protocollo RSA si basa proprio sull’assunzione che sia difficile risolvere il logaritmo discreto. Quindi bitcoin, TLS, transazioni finanziarie online sono esempi di contesti vulnerabili. Ci sono anche altri schemi, per esempio, certi schemi utilizzati per l’autenticazione di messaggi, su cui l’algoritmo di Shor non ha effetto. Si veda per esempio gli schemi AES (Advanced Encryption Standard) e SHA (Secure Hashing Algorithm). Va detto però che anche in questi casi i computer quantistici porteranno dei vantaggi computazionali. Il metodo si chiama algoritmo di Grover e permette la ricerca di un elemento in una lista non-ordinata con un numero di queries uguale alla radice quadrata del numero degli elementi nella lista – mentre il caso classico richiede ispezionare tutti gli elementi nel peggiore dei casi. Il vantaggio offerto dall’algoritmo di Grover è dunque facilmente annullabile raddoppiando la lunghezza della chiave, così da mantenere alto il livello di protezione offerto dallo schema. Serve ovviamente una sfera di cristallo per prevedere il futuro ed è molto difficile fare congetture sull’orizzonte temporale per costruire un computer quantistico che sia rilevante dal punto di vista crittografico. Una startup canadese che si chiama evolutionQ pubblica ogni anno un report sulla potenziale linea temporale — si può scaricare gratuitamente (https://globalriskinstitute.org/publication/2022-quantum-threat-timeline-report/). Nel 2022 il report ha raccolto l’opinione di 40 persone esperte. Di queste, 20 ritengono che nel 2032 ci sarà meno del 50% di probabilità che un computer quantistico sia capace di decifrare il protocollo RSA-2048 nell’arco di 24 ore. Che con 14000 qubit fisici si riesca a farlo in 177 giorni e’ stato un risultato rigoroso di un paio d’anni fa (https://arxiv.org/abs/2103.06159), ma il diavolo è nei dettagli: il risultato richiede di immagazzinare dati nel computer quantistico per ore, cosa che oggi è sul bordo della fantascienza.
RHC: Ultimamente si sta molto parlando del pericoloso impatto che l’introduzione del computer quantistico avrebbe sulla Sicurezza Informatica e su quella Nazionale. Qual’e’ la sua opinione a riguardo?
Simone Severini: Vorrei distinguere due contesti: uno, la spinta all’innovazione su tecnologie con uso in settori collegati alla difesa; due, la crittografia. Non ho assolutamente chiaro il pericolo derivante da hardware quantistico come strumento d’innovazione. Nuovi materiali di importanza nell’industria bellica? Ottimizzazione per prendere decisioni più velocemente durante operazioni militari? In crittografia, il computer quantistico crittograficamente rilevante, in inglese, cryptographically relevant quantum computer (CRQC) ancora non c’è. Ormai saranno un vent’anni in cui si studiano nuovi protocolli congetturati essere resistenti ad attacchi eseguiti attraverso computer, sia classici che quantistici, e quindi capaci di sostituire algoritmi asimmetrici (come RSA, DH, ECDH, ECDSA). Questi protocolli formano un campo chiamato post-quantum (PQ) cryptography, o crittografia post-quantistica. Algoritmi candidate alla standardizzazione sono scrutinati dal NIST (https://csrc.nist.gov/pubs/ir/8413/upd1/final), in un’iniziativa pubblica a cui partecipa la comunità internazionale di crittografia. L’idea di CRQC ha portato innovazione, stimolando profonde discussioni in matematica.
RHC: A dicembre 2022, gli Stati Uniti d’America hanno firmato l’atto HR7535 che evidenzia l’importanza della crittografia post-quantistica, resistente agli attacchi di un computer quantistico. A gennaio 2023 invece IBM ha definito l’Informatica Quantistica un “Rischio Esistenziale”. Qual’e’ la sua opinione a riguardo?
Simone Severini: Il Quantum Computing Cybersecurity Preparedness Act può essere letto in forma integrale alla seguente pagina: https://www.congress.gov/bill/117th-congress/house-bill/7535. L’atto è pertinente ai sistemi informatici dei dipartimenti esecutivi del governo. L’atto ha richiesto a tali dipartimenti di fare un inventario delle loro risorse informatiche decifrabili attraverso computer quantistici e una stima economica per la migrazione verso protocolli di crittografia post-quantistica. Non indica la data di migrazione, ma chiede di tenere d’occhio il processo di standardizzazione del NIST. Secondo me ogni governo dovrebbe avere un approccio simile, pragmatico, senza allarmismi esagerati. È un atto importante perché invita ad azioni per limitare i danni portati dalla pratica “steal now, decrypt later”, ovvero “ruba ora, decifra dopo”. Con questa pratica, una potenziale spia, potrebbe accumulare con strumenti classici messaggi illeggibili oggi, con l’idea che un giorno, anche nel futuro remoto, questi potranno essere decifrati attraverso i computer quantistici.
RHC: Come sa, noi siamo una rivista che parla di tecnologia con un grande focus sulla Cybersecurity. Ad oggi una comunicazione che utilizza la Quantum key distribution (QKD) è considerata fra le più sicure. Le chiediamo, una rete quantistica è veramente a prova di hacker oppure possono esserci delle possibilità di compromissione?
Simone Severini: QKD o distribuzione a chiave quantistica propone un approccio alla distribuzione segreta di chiavi aleatorie basato su alcune proprietà quantistiche della luce. È stato introdotto addirittura già nei primi anni 80 e ha bisogno di hardware specializzato – cioè a differenza di PQK richiede delle macchine appositamente costruite, oltre al software. Il punto di forza di QKD è una sicurezza indipendente dalla capacità computazionale di una potenziale spia, che potrebbe accedere anche a un computer utopistico capace di eseguire qualsiasi calcolo istantaneamente. Inoltre proprio per questo non richiede costosi aggiornamenti del software anche in un futuro lontano. QKD viene generalmente vista oggi come un ulteriore strato di sicurezza da aggiungere a PQC e quindi creare quella che si chiama defense-in-depth o difesa in profondità, dove se uno strato viene decifrato, ce ne sarà un secondo. Questi schemi ibridi sembrano promettenti. Con QKD, in teoria ci troviamo davanti un protocollo indecifrabile, ma in pratica il diavolo si nasconde nei dettagli degli apparati fisici, che possono benissimo deviare dalle assunzioni teoriche. È dunque difficile dire quanto QKD sia sicura in pratica e la letteratura scientifica descrive una varietà di attacchi. Per esempio quello proposto dalla mia collega Antía Lamas-Linares e Christian Kurtsiefer nel 2007 (https://arxiv.org/abs/0704.3297). Idealmente si vorrebbe raggiungere indipendenza dall’hardware per eliminare quelle minacce che dipendono dall’apparato fisico. Esistono protocolli QKD capaci di ciò, ma la loro implementazione richiede sviluppi tecnologici. QDK Inviterei le persone interessate a QKD a leggere un articolo di questo luglio di Renato Renner e Ramona Wolf (https://arxiv.org/abs/2307.15116). L’articolo discute i pro e i contro di questa tecnologia.
RHC: Lei è un illustre scienziato che ha lasciato il nostro Paese per effettuare ricerca all’estero. Qual’e’ la situazione italiana circa le Tecnologie Quantistiche? Secondo lei, l’Italia ha realmente compreso la potenziale portata rivoluzionaria del Quantum?
Simone Severini: In tutta franchezza non so se meritarmi di essere chiamato “illustre scienziato”. Io non ho mai lavorato in Italia e sono partito in modo casuale, andando a tastoni, con l’idea di fare un dottorato. Nel corso degli anni ho interagito però con un numero considerevole di italiane e italiani che lavorano nel campo, sia in Italia che all’estero. Persone di grandissimo valore. In Italia c’è una tradizione che affonda le sue radici sia in fisica sperimentale, che in aree associate con i fondamenti della meccanica quantistica e lati più matematici e ingegneristici, come la teoria dell’informazione — ed è superfluo rammentarcene. Provare a stilare qui una lista di persone porterebbe a ingiustizie perché necessariamente incompleta. Per realizzare al meglio il potenziale, può essere utile osservare cosa è stato fatto in quelle nazioni che hanno lanciato delle strategie a lungo termine, anche decennali, per accelerare la ricerca scientifica, ma anche per catalizzare la fondazione di veicoli commerciali, in particolare startup come spin-off dell’università. Facilitare i contatti tra università e industria, anche con iniziative di carattere regionale, può attrarre capitali privati e ampliare le possibilità. Non credo che le tecnologie quantistiche debbano essere interpretate come “un bene di lusso”, ma piuttosto come un investimento appoggiato su una base incerta, ma con un grande potenziale se si guarda lontano. Credo inoltre che la cooperazione a livello internazionale sia una necessità. Senza dubbio, il momento è ancora propizio visto che siamo ancora agli albori.
RHC: Le Tecnologie Quantistiche sono tecnologie dual use ovvero all’attenzione della Difesa e dei Governi. Quali potrebbero essere, a parte la disponibilità di una “rete a prova di hacker”, le applicazioni delle Tecnologie Quantistiche in ambito militare?
Simone Severini: Come c’è da aspettarsi è difficile determinare un concetto universale di dual use (duplice uso), civile e militare. Questo dipende da regolamentazioni relative a istituzioni regionali diverse, come Cina, UE, Australia, Stati Uniti, e via dicendo. Si parla di duplice uso per tante tecnologie e prodotti: da macchine per incidere waver di seminconduttore, a certe leghe di alluminio, e addirittura anche console da tavolo per videogiochi. È probabile che col tempo sia computer quantistici che elementi nella loro catena di approvvigionamenti finiscano in più e più liste di oggetti con duplice use. Plausibilmente, computer quantistici, sensori, e comunicazioni quantistiche, avranno applicazioni militari. Per esempio, la sensoristica basata su fenomeni quantistici, che è a uno stadio più avanzato della computazione, viene discussa sempre di frequente in questo contento. Già esistono tecnologie quantistiche per sistemi di navigazione inerziali, interpretabili come metodi per rimpiazzare il GPS, così come orologi precisissimi, e strumenti per misurare con grande accuratezza gravità, campi magnetici, temperatura, e pressione – quindi capaci di rilevare cavità sotterranee o movimenti sottomarini. Il punto secondo me più importante è che potenziali restrizioni a livello internazionale non finiscano per rallentare la ricerca scientifica, di cui tutti possiamo beneficiare, ed essere un ostacolo allo spostamento di persone tra paesi, perché la ricerca richiede interazioni globali.
RHC: Lei ha scritto un libro di recente intitolato “Nella terra dei qubit”. Ci può raccontare di cosa tratta nello specifico e se può esser adatto a tutti i lettori o solo agli esperti di fisica quantistica?
Simone Severini: Questo libro è stato pubblicato raccogliendo delle note un po’ sparse, principalmente perché ho incontrato Enrico Flacowski di Flaco Edizioni Group ed Eva Filoramo. Enrico è un editore indipendente di Palermo che mi ha trasmesso tantissimo entusiasmo. Eva è una scrittrice che sa come si scrive un libro molto meglio di me. Il nostro libro esiste proprio perché Eva ha avuto la pazienza di condividere con me la scrittura. Il libro parla di computer come oggetti fisici. Parla dell’interazione tra mondo fisico e informatica, mettendo in evidenza l’importanza delle leggi della fisica anche quando consideriamo cosa fanno i computer. Vuole raccontarci che è la fisica a determinare i limiti dei computer. Non è un libro divulgativo e nemmeno un libro che vuole insegnare. Magari vuole stimolare chi lo legge a prendere in mano altri scritti sulla computazione quantistica. Spero sia adatto a chiunque abbia un po’ di curiosità da alimentare.
RHC: Prof. Severini, la ringraziamo per averci concesso l’onore di poterla intervistare e le facciamo i nostri migliori auguri per il suo lavoro. Nel ricordare ai nostri lettori di non perdere il libro “Nella terra dei qubit”, le chiediamo se vuole aggiungere qualcosa alla presente intervista.
Simone Severini: Grazie di cuore per l’opportunità, per la gentilezza, e grazie soprattutto per lavorare attraverso Red Hot Cyber a una comunicazione profonda e fattuale sul tema della tecnologia e della sicurezza informatica — e in questo frangente dell’intervista, sui computer quantistici.
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