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Non toccate i gattini: le regole del far-web.

Ilaria Montoro : 7 Giugno 2021 08:00

Autore: Ilaria Montoro.

Data Pubblicazione: 3/06/2021

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La prima cosa da sapere è che il motore di ricerca umano è reale.

La seconda, che è vivo.

La terza, che fa paura.

Non è questione di essere un po’ propensi all’inquietudine o allo sconforto, né essere normalmente portati ad aumentare il peso in questioni che si possono dirimere con semplicità: il motore di ricerca umano fa paura perché è complesso.

Il motore di ricerca in carne umana

È forte, potente e rumoroso, è oggetto di studio, di lavoro, di banalizzazioni e spiegazioni. Il motore di ricerca umano siete tutti voi. È carne umana. Viva o morta: la paura dipende da che parte si sta. Da che parte decidete di stare.

Di fronte a un comportamento considerato immorale, ingiusto, i cittadini cinesi reagiscono rendendolo pubblico sul web, portando avanti investigazioni private che possono concludersi con il linciaggio di una persona, o con la scoperta di una nefandezza dei potenti.

“Si tratta di un gruppo di persone che usano internet per cercare e condividere informazioni su una persona: questa è la definizione”

dice sicura Fauna, una delle fondatrici di chinasmack.com, sito che raccoglie “le storie più piccanti della rete cinese”.

Il fenomeno

Il fenomeno è controverso, contraddittorio e dai mille volti. Secondo i sinologi c’è una spiegazione classica. Ad essere condannati sono comportamenti che non sono considerati morali: non si uccide un gatto, non si tradisce la moglie, non si sfoggia ricchezza quando si dovrebbe servire umilmente il popolo. Esso è uno dei tanti aspetti caratteristici della rete cinese, un fenomeno che per anni è stato ignorato a favore di realtà più evidenti come quella della censura. Il “motore di ricerca di carne umana” riflette la sua unicità, rispetto ad omologhi più celebri quali Google e Baidu, almeno sotto due aspetti: le dinamiche di funzionamento e la natura dei dati che generalmente vengono cercati.

Per quanto riguarda invece la questione delle informazioni che possono essere cercate attraverso il motore di ricerca di carne umana, un simile strumento ha potenzialità infinite, ma negli ultimi anni in Cina è apparsa una preoccupante tendenza a concentrarsi sui dati personali di singoli individui, quali indirizzi, numeri telefonici, numeri di carta d’identità, indirizzi del posto di lavoro, etc.

Il funzionamento

Per quanto riguarda la questione del funzionamento, mentre i comuni motori di ricerca in genere si basano su propri algoritmi e database, il motore di ricerca di carne umana non ha niente di tutto ciò. L’utente interessato ad ottenere informazioni non fa altro che pubblicare una richiesta nella semplice form su un sito, poi aspetta che coloro che leggono l’appello ricerchino “manualmente” i dati richiesti. È chiaro che maggiore è il numero degli utenti che partecipano alla ricerca, maggiore è la probabilità di successo.

Da questo punto di vista, la denominazione “motore di ricerca di carne umana” è particolarmente efficace, in quanto essa si basa su una certa ambiguità semantica: se da un lato “carne umana” si riferisce alla materia prima necessaria al funzionamento del motore di ricerca, vale a dire la collaborazione concreta degli utenti reali, dall’altro la formula può tranquillamente stare ad indicare l’oggetto della ricerca, vale a dire la realtà fisica, le ossa e il sangue di singoli individui nella forma dei loro dati privati.

Negli ultimi anni infatti, l’intera rete si sta evolvendo da una dimensione principalmente “meccanica” ad una dimensione più “umana”, cosa che avviene principalmente attraverso la creazione di strutture dinamiche che facilitano e massimizzano l’apporto creativo ed informativo del singolo individuo al sistema. Le manifestazioni più recenti di questo fenomeno, tecnicamente definito web 2.0, possono essere individuate nell’esplosione della blogosfera, nel fiorire dei forum, nell’emergere dei social network e nello sviluppo di forme collettive di gestione della conoscenza quali Wikipedia. In origine si è ritenuto che questa forma di organizzazione fosse un sintomo della prossima caduta del regime, colpito negli aspetti più deteriori della corruzione e dell’inefficienza. Eppure il governo ha saputo cooptare gli human flesh search engine per i propri fini: li usa sia per azioni di propaganda, sia soprattutto per rintracciare coloro che protestano contro il Partito sui blog. Gli effetti della pubblica gogna on-line, che segue alla divulgazione di fatti privati, può condurre ad effetti peggiori di quella comminata a livello fisico durante gli anni della rivoluzione culturale.

È stato solamente a partire dal 2006 che il motore di ricerca di carne umana ha iniziato a giocare un ruolo fondamentale nella risoluzione di tutta una serie di casi che hanno attirato l’attenzione dei media nazionali. Nel febbraio del 2006 il motore di ricerca di carne umana è entrato in azione per individuare la protagonista di un filmato circolato sul web in cui si vedeva una donna torturare ed uccidere un gattino con il tacco di una scarpa. La responsabile è stata individuata nella figura di un’infermiera di mezza età che viveva nel nord-est del paese: dopo che la sua identità è stata esposta, la donna ha perso il lavoro e non è stata in grado di trovare una nuova occupazione.

Alcuni fatti

Jiang Yan ha 31 anni. Vive a Pechino, ha lunghi capelli neri, in una foto la si vede guardare un punto imprecisato. Non c’è allegria in quello sguardo. È introversa e affida ad un blog on line i propri pensieri più profondi. Jiang, con il tempo, all’inquietudine sostituisce la sofferenza e il dolore: sulle pagine del blog prende corpo il tradimento del marito e una vita che non sembra cogliere tutta quella ricchezza che la Cina regala a piene mani. Jiang non è armonica, in alcun modo. Nell’ottobre del 2007 chiude il blog. A dicembre si suicida. A qualcuno però la cosa non torna. Un’amica della vittima pubblica on line anche il diario di Jiang: lo mette in bella mostra su un un sito internet. In quelle pagine c’è tutta la sofferenza della ragazza per il tradimento del marito. Daqi.com e tianya.com, due tra i portali più popolari in Cina, ne parlano e aprono forum di discussione che alimentano la ricerca e le testimonianze. Che finiscono tutte su un sito. Comincia una vera e propria elaborazione delle informazioni sul marito della suicida. Si dice abbia una nuova amante. Si dice non sia andato ai funerali della moglie. Il motore di ricerca umano è in moto. Si aggiungono informazioni: si scopre il nome del marito, Wang Fei, l’indirizzo di casa e anche quello del lavoro, il numero di cellulare. Si scoprono, nel senso che vengono pubblicati on line: lo richiede il motore di ricerca umana. Ha bisogno di carne.

E dall’online si passa all’offline: scritte minatorie davanti all’ufficio, telefonate deliranti ad ogni orario. Per i ricercatori di informazioni, lui è il colpevole della morte di Jiang. Wang Fei è solo, contro tutti. Tiene duro, finché un giorno, al lavoro, scopre la novità: licenziato. In due mesi, tutto è precipitato. Poi, a marzo Wang Fei denuncia i siti che hanno rivelato le sue informazioni e con essi la persecuzione di cui è stato vittima. Per la prima volta, una corte cinese affronta il tema del motore di ricerca umano e della violenza via internet.

La donna che pubblicò i diari di Jiang è condannata a pagare 800 euro. In questo caso, si dirà, il motore di ricerca umano ha raccolto sospetti, ire, frustrazioni.

L’utilizzo di questo sistema è ormai talmente diffuso che sui principali forum cinesi è comune leggere post nei quali gli utenti esprimono la propria paura di scrivere qualcosa di troppo che permetta eventualmente di identificarli. Nessuno ha più il coraggio di pubblicare nulla che potrebbe portare alla propria identificazione da parte degli altri netizens, non il proprio nome, non il luogo in cui si vive, non il proprio lavoro: tutti hanno i propri scheletri nell’armadio e nessuno vuole essere messo alla gogna senza avere la possibilità di difendersi.

Un interessante esempio di public shaming (stavolta dai risvolti “positivi”) è quello di cui è stato involontario protagonista un funzionario pubblico cinese, reo di essere stato ritratto in una fotografia in cui pareva sorridere sulla scena di un incidente mortale. Gli utenti dei social cinesi si mobilitarono per scoprire il passato di questo funzionario, e scovarono varie fotografie in cui il funzionario ostentava orologi di un certo pregio, non esattamente in linea con il suo stipendio (tra gli utenti che furono parte attiva della “ricerca” molti interpellano vari esperti di orologi che individuarono i modelli e il prezzo di mercato). Dalle segnalazioni che arrivarono a pioggia ai suoi superiori nacque un procedimento che in effetti evidenziò condotte non trasparenti da parte del funzionario, che fu soprannominato “uncle watch”.

“Zio orologio” in una caricatura in cui sorride davanti alla scena dell’incidente con numerosi orologi al polso.

Gli errori

Di fatto, è capitato più volte che il motore di ricerca di carne umana abbia commesso degli errori. È successo ad esempio lo scorso aprile, quando il motore di ricerca di carne umana ha diffuso i dati di quello che si presumeva fosse l’attivista tibetano che aveva aggredito l’atleta disabile Jin Jing a Parigi nel tentativo di sottrarle la fiaccola olimpica: successivamente si è scoperto che si trattava di un tibetano residente negli Stati Uniti che, pur avendo partecipato ad alcune manifestazioni di protesta, non era mai stato in Francia in vita sua.

È successo di nuovo lo scorso giugno, quando una giovane madre ventiseienne di Chengdu è stata erroneamente indicata come l’autrice di un post in cui si elencavano i vantaggi di farsi mantenere come amante (ernai) da un uomo ricco e potente. In entrambi i casi, le vittime hanno descritto ai giornalisti che li hanno intervistati la pesantezza delle pressioni psicologiche subite, le telefonate a tutte le ore del giorno e della notte, le minacce e gli insulti, gli attacchi ad amici e parenti.

Internet: dove farsi giustizia da se

E a fare da collante ai tasselli di questa cloaca virtuale c’è una clamorosa falsa percezione, figlia di superficialità e mancanza di cultura digitale: l’idea diffusa in gran parte degli utenti, secondo la quale la rete sarebbe una zona franca, un Far Web in cui non esistono regole, in cui vale tutto, in cui vige l’impunità e dove è molto più pratico farsi giustizia da sé. Questa illusione contribuisce troppo spesso a far saltare i freni inibitori e a trasformare la libertà di pensiero in libertà d’insulto e di minaccia.

In questa stesura non voglio condannare il diritto all’odio. Tutt’altro: odiare è legittimo, comprensibile e talvolta necessario. Ma anche l’odio deve essere consapevole. Non può alimentarsi di bufale, non può trasformarsi in diffamazione. Non può avere derive discriminatorie o razziste. L’odio è un sentimento troppo nobile per essere lasciato appannaggio del primo cretino di turno.

Fonte di numerose discussioni fra esperti e autorevoli osservatori delle nuove dinamiche del web, l’anonimato entra prepotentemente all’interno del dibattito in quanto spesso connesso all’incitamento all’odio online. Molti oggi in Italia considerano l’anonimato una delle cause principali dell’hate speech. Ma si tratta di una visione che pecca di miopia e di superficialità perdendo di vista l’intero contesto. Online esiste un anonimato che rappresenta una vera e propria identità per gli utenti che decidono di ricorrervi. E che spesso è una tutela necessaria per poter esprimere opinioni e denunciare fatti gravi senza rischiare ritorsioni.

Prendiamo il caso del giornalista bielorusso Roman Protasevich, detenuto dalla polizia a Minsk dopo lo straordinario dirottamento del suo volo Ryanair dalla Grecia e che è stato denunciato da alcuni come “dirottamento di stato”. Proteste di massa, infatti, sono scoppiate in Bielorussia dopo che Alexander Lukashenko ha rivendicato la vittoria alle elezioni presidenziali del 9 agosto, ampiamente condannate come truccate. Il leader autoritario è al potere da 27 anni. Ha mantenuto il controllo statale sulla maggior parte dell’economia, con la censura in stile sovietico e la polizia che ha malmenato molti manifestanti.

Ed è in questo scenario che Telegram simboleggia un’app di messaggistica sicura: è uno dei pochissimi modi in cui i dissidenti bielorussi sono stati in grado di organizzarsi, dal momento che le autorità hanno represso duramente i media indipendenti, bloccando i siti Web dell’opposizione durante le gigantesche proteste dello scorso anno.

Il numero di iscritti a Nexta Live è salito oltre il milione durante le proteste di massa

I post di Nexta Live – pronunciato “nekhta”, che significa “qualcuno” in bielorusso -includevano foto e video raccolti dalla folla circa la brutalità della polizia e informavano gli utenti su manifestazioni e scioperi dell’opposizione.

Il numero degli iscritti aumenta a vista d’occhio, mentre Lukashenko continua a ostacolare il lavoro dei giornalisti.

La chiusura di Internet è un enorme errore da parte delle autorità”

ha dichiarato alla BBC Russian il caporedattore di Nexta, Roman Protasevich.

“Telegram ha raccolto quasi tutti i bielorussi che stanno inondando le strade nel tentativo di apportare cambiamenti nel paese e con la maggior parte della leadership dell’opposizione fuori dal paese, il canale ha svolto un ruolo chiave nel coordinare le proteste Ma i media dell’opposizione più affermati sono diffidenti nei confronti di una tale fonte di informazioni attivista i cui messaggi sono difficili da verificare”

Le scene di tre notti di proteste e le risposte della polizia sono state pubblicate sul canale Nexta Live da tutta la Bielorussia

I bielorussi oggi si fidano di Nexta perché sanno che Svetlov e i suoi collaboratori provengono da questo ambiente e che continueranno la loro missione: raccontare in modo onesto e aperto cosa sta accadendo nel loro paese.

Ed è in questo scenario che prende forma “Il web è una giungla”. Una frase che avremo sentito ripetere un’infinità di volte. Ma forse, a più ben vedere sembrerebbe la rete di recinzione di un enorme parco zoologico. Un immenso pascolo virtuale dove scorrazzano gli esemplari più svariati e animaleschi dell’umanità.

Ilaria Montoro
Laureata in Ricerca sociale, Politiche della sicurezza e Criminalità, dopo aver maturato un percorso di Laurea triennale in Scienze e tecniche di psicologia cognitiva. Sono in possesso dell’attestato del corso in Criminologia clinica e Psicopatologia dei reati passionali ed ho conseguito il Master executive in Cyber Security, Digital Forensics & Computer Crimes.