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La solitudine digitale: un disagio che genera mostri disadattati e narcisisti

Daniela Farina : 15 Novembre 2022 08:00

Autore: Daniela Farina

La solitudine del terzo millennio è un problema in rapida espansione e vediamo insieme perché e quali sono le conseguenze.

Partendo dal concetto che l’uomo è “un animale sociale” perché rientra nella tipologia di mammiferi la cui vita si fonda sulla comunità, la solitudine per l’essere umano può essere una croce o una delizia, a seconda di come viene interpretata. Negli ultimi anni, si è riscontrato un aumento dell’individualismo – che sia nella prassi quotidiana sia nel sistema di valori – si può ricondurre almeno in parte allo sviluppo socioeconomico e non solo.

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La crescente mediatizzazione di tutti gli ambiti della nostra vita che interessa principalmente i giovani non favorisce il contatto tra le persone, ma fa crescere insoddisfazione, depressione e solitudine.

L’obiettivo principale e dichiarato dei social è mettere in contatto le persone ma la reale funzione è la pubblicità : il loro modello commerciale!

Da uno studio pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine, condotto nel 2017 su un campione rappresentativo per gli Stati Uniti di 1787 giovani adulti, è risultata una chiara correlazione tra l’esperienza di solitudine e l’utilizzo dei social. A mettere in risalto la rilevanza dei risultati c’è il dato che dice che solo il 3,2% dei partecipanti non usava alcun tipo di social. E non è l’unico studio, la letteratura in merito è ampia, tuttavia, basta guardarsi intorno per vedere gli esiti disastrosi: ogni giorno: la gente che incontriamo, è sempre impegnata con uno smartphone, un tablet o un portatile; tutti sono collegati con il mondo virtuale, in contatto con tante altre persone ugualmente online, con la garanzia di un pronto accesso ad una piattaforma d’informazione che cresce vertiginosamente. Un cellulare messo fuori posto o rubato, ci provoca tachicardia, ansia e stress.

Possiamo parlare di patologia?

Ancora oggi i ricercatori hanno difficoltà a classificare la dipendenza dalla tecnologia come un vero e proprio disturbo psichiatrico. Non compare in nessun manuale diagnostico ma viene ugualmente indicato con il nome di Internet Addiction Disorder (IAD): ovvero una particolare modalità di esprimere il proprio disagio attraverso l’uso smodato di un prodotto tecnologico.

Si ignora, tuttavia, che lo sviluppo delle dipendenze è favorito soprattutto in età infantile e giovanile. Gli adulti, il cui cervello ha raggiunto il pieno sviluppo, riescono a resistere ad una sostanza (oppure ad un comportamento) che crea dipendenza. I bambini no. Tramite le nuove tecnologie digitali subiscono la loro” iniziazione”.

A tutto questo si aggiungono sedentarietà, impoverimento sensoriale, un esercizio costante alla distrazione contrapposto a uno scarso esercizio delle azioni ragionate, non impulsive, disturbi dello sviluppo linguistico e una ridotta istruzione, tutte conseguenze comprovate delle tecnologie informatiche digitali nei bambini e nei giovani.

I bambini, in particolare, sono danneggiati nelle loro capacità sensoriali, e bullismo e criminalità informatica completano il quadro di una situazione che ci sta sempre più sfuggendo di mano. Si pensi a tal proposito, proprio all’ultima operazione compiuta, qualche settimana fa, dalla Polizia Postale su minori che abusano di minori, l’operazione “Poison”.

Vediamo meglio cosa si intende per moderna solitudine

Il virtuale, con i suoi reali effetti personali e interpersonali, si sostituisce al reale. La rete offre la possibilità di allontanarsi da un mondo dove l’apparenza e determinati standard di desiderabilità legati all’aspetto esteriore sono diventati troppo importanti per chi non si sente all’altezza.

Inoltre, mentre i contatti sociali della vita di tutti i giorni sono caratterizzati da una stabile partecipazione al gruppo, qui vi è un continuo ricambio di membri che possono decidere da un momento all’altro quando sparire e transitare altrove. Ancora una volta, quindi, un’estrema libertà di movimento privo di conseguenze. Le persone possono conoscersi, interagire ed accedere ad ogni tipo di conoscenza in uno spazio virtuale del tutto diverso da quello fisico, il cyberspazio.

Ma facciamo attenzione in quanto i rapporti interpersonali si costruiscono attraverso il modo di comunicare in maniera verbale, non verbale e para verbale. Pertanto, il gap sta proprio qui ossia nella comunicazione digitale che non rispecchia quella in presenza. Manca il contatto fisico, manca la gestione della prossemica (ovvero quanto mi avvicino o mi allontano all’altro). Così si innesca il circolo vizioso: più evito la solitudine, più mi connetto, più mi sento solo!

Solitudine e isolamento sociale non sono la stessa cosa: la prima è l’aspetto psicologico del secondo. Con il termine solitudine si indica un’esperienza soggettiva – ci si sente soli – mentre l’isolamento sociale può essere misurato in maniera oggettiva (quanto si è soli?) Ci si può sentire soli senza essere socialmente isolati. Al contrario si può essere socialmente isolati senza sentirsi soli. Dunque i nessi non sono affatto semplici, bensì assai complessi ed articolati!

Cerchiamo quindi, alla luce di come oggi gira il mondo, di trarre dalla tecnologia la stessa lezione che si può trarre da un romanzo di Mary Shelley, Verne o Wells: la tecnologia in se è solo uno strumento, non è ne buona né cattiva, è l’uso che se ne fa che la rende tale!

Se da una parte la tecnologia ricopre un ruolo imprescindibile nelle comunicazioni e nell’informazione, soprattutto in seguito all’emergenza Covid-19, dall’altra può trasformarsi in un’arma di autodistruzione da cui proteggersi

Ma per quale ragione tutto questo accade ?

Facciamo una premessa. Oggi si è spesso alla ricerca di conferme da parte degli altri. Conferme che spesso sono effimere come bolle di sapone.  

Il funzionamento alla base dei social media ci porta a credere che essere connessi digitalmente sia il corrispettivo di avere relazioni di persona. Anzi a migliorarle, in quanto riusciamo ad avere “contatti” con persone lontane o che non sentivamo più da una vita. È facile comprendere quanto sia falsa questa convinzione e soprattutto quanto sia disfunzionale.

Il contatto umano con gli altri innesca reazioni emotivo-percettive che inondano tutti i 5 sensi.

La relazione attraverso il mondo digitale va a colpire solo udito e vista, che oltretutto sono spesso distorte dallo strumento stesso. Infatti, se da una parte esistono miriadi di filtri per migliorare la nostra immagine, dall’altra ci sono tutti i problemi di connessione e di perdita del video e dell’audio. Questi stimoli influenzano notevolmente la relazione costruita digitalmente. Pertanto, per ottenere un risultato che si avvicini all’ “originale” si devono andare a toccare le note emozionali per attivare la risposta paleo encefalica (struttura che gestisce le nostre emozioni durante le relazioni tra persone).

Dal momento che l’unico antidoto alla solitudine digitale è vivere a pieno le emozioni attraverso l’esperienza concreta, la mancanza di attivazione di alcuni dei nostri sensi ci porta a sentirci soli, nonostante siamo immersi totalmente in like, share, stories e simili.

Il male dilagante, inoltre, è che i nativi digitali a causa dell’abuso della tecnologia, invece di esserne facilitati, ne sono invalidati.

Avendo minori possibilità di strutturare relazioni di persona hanno anche minori possibilità di sviluppare e consolidare le proprie competenze relazionali. Pertanto, avranno crescenti difficoltà nel gestire un rifiuto o un feedback negativo. Anche perché se nel mondo digitale non gradiscono un contenuto, basta dare uno scroll allo schermo e passare oltre. Ma nella relazione di persona, loro malgrado, non possono “chiudere e aprire il link in un’altra finestra”.

Passando ad una visione più clinica del fenomeno, l’iper-connessione è un sedativo ma non una cura, è una tentata soluzione disfunzionale che conduce a ciò che si vorrebbe eliminare: la solitudine digitale. Pertanto, le sue conseguenze patologiche originano da un’errata modalità di sfuggire alla paura di rimanere soli.

Più persone aggiungo, più il social mi metterà in evidenza, più richieste avrò, più avrò la necessità di aumentare le connessioni. Più pubblico post che ottengono molti like, più ne posterò per avere sempre più like.

In altre parole, le carenze della vita “vera”, come l’isolamento, la solitudine, l’insoddisfazione, l’egocentrismo vengono compensate con un uso smodato degli strumenti digitali.

La Rete diventa, in tal senso, uno spazio psicologico in cui proiettare vissuti e fantasie, che facilmente prevaricano sulla vita reale assorbendo l’individuo.

Le tecnologie digitali pur essendo uno strumento con cui siamo in grado di dominare la nostra vita con maggiore efficacia, nascondono insidie, creano dipendenza e fanno ammalare. Abbiamo a disposizione risultati scientifici sia per quanto riguarda la distrazione (multitasking provocata dagli smartphone, sia per quanto riguarda gli ulteriori effetti negativi come ansia e stress e le conseguenze dovute alla loro cronicizzazione (insonnia, depressione, solitudine) 

Cosa possiamo fare realmente per evitare che la nostra vita digitale arrechi danni alla nostra salute?

Possiamo fare una rinuncia volontaria!

Proviamo a fare un esercizio di immaginazione,: se a un certo punto la rete non funzionasse più, come capita ai protagonisti del film Sconnessi, cosa proveremmo?

Riusciremmo a tornare al dialogo diretto, vis à vis, argomentando del più del meno, interessandoci all’altro, trovando le parole per farci conoscere, o il forte imbarazzo ci costringerebbe a qualche scomodo silenzio?

Le nuove tecnologie sono una grande opportunità per semplificarci la vita, ma hanno anche una via che può portare alla dipendenza nonché alle minacce da parte dei cybercriminali.

Facciamo prevenzione con un po’ di sano tecno detox.

Basta iniziare con un giorno a settimana, quando si è tutti insieme in famiglia, concedendosi all’ascolto degli altri e di noi stessi, condividendo, per esempio, le emozioni che affiorano davanti ad una bella tavola. Proviamo a fare questo patto con i nostri cari e con noi stessi.

Proteggiamoci dagli aspetti oscuri della tecnologia, dai criminali informatici ma anche dalla perdita di emozioni e dalla dipendenza.

È fondamentale non eliminare i valori umani dell’intelligenza sociale in quanto si rischia un impoverimento concettuale. In quest’epoca di anonimato ed isolamento, dobbiamo fare in modo che la tendenza all’impersonalità non si diffonda ulteriormente.

La tecnologia ha realizzato in ambito mentale, ciò che in passato era stato ottenuto ricorrendo alla forza degli animali, poi ai mulini ad acqua e a vento, in seguito alle macchine a vapore e più tardi ai motori a scoppio ed elettrici : ci hanno liberato dalla fatica fisica. Inizialmente, questo non ha avuto conseguenze su di noi, perché chi segue i buoi che tirano l’aratro continua a muoversi; nel contempo tiene e dirige l’aratro e compie uno sforzo fisico. La differenza rispetto all’aratura con la zappa sta sostanzialmente nella velocità. Arare con i buoi è faticoso, ma permette di coprire nello stesso tempo una superficie di gran lunga maggiore. Con un grosso trattore si può arare un’area ancora più vasta ma con un notevole vantaggio: ci si limita a stare seduti senza faticare. Ma stando seduti sul trattore i muscoli si atrofizzano. Ebbene è la stessa cosa con l’utilizzo scorretto dei media ed il lavoro mentale. I media digitali limitano la profondità di elaborazione.

In conclusione, utilizziamoli con attenzione e seguiamo per il nostro benessere piccoli accorgimenti come : dedichiamo mezz’ora al giorno di movimento

concentriamoci sul momento presente. Una ricerca pubblicata su Science ha confermato l’antico consiglio dei maestri di meditazione: è necessario essere qui ed ora con la propria concentrazione e non da qualche altra parte. Chi ci riesce è anche più felice, chi rimugina lo è di meno

ascoltiamo musica. Le neuroscienze hanno dimostrato che soltanto la musica limita l’attività dei settori cerebrali responsabili della paura e aumenta quelle zone che favoriscono la felicità

sorridiamo. Le emozioni non sono strade a senso unico che vanno dal cervello alle ghiandole e ai muscoli. Il nostro cervello assorbe anche informazioni dal corpo ed elabora gli stati d’animo corrispondenti.·      trascorriamo più tempo nella natura perché fa bene alla mente ed al corpo. La vista di prati ed alberi è sufficiente per farci sentire più felici.

comunichiamo di più con i nostri cari soprattutto la sera  

Infine, ma non da ultimo, ricordiamoci di proteggere le nostre informazioni dai criminali informatici.

Stay tuned

Daniela Farina
Laureata in Filosofia e Psicologia, counselor professionista, appassionata di work life balance e di mindfulness, Risk Management Specialista in FiberCop S.p.a.