Olivia Terragni : 23 Maggio 2022 07:20
Autore: Olivia Terragni
Data Pubblicazione: 22/05/2022
Per tutti quelli che sono abbastanza fortunati nel vivere a distanza di sicurezza da un conflitto armato, ciò che sta succedendo nel mondo dell’informazione è una dura lezione su cosa pensare e come imparare a farlo, ma soprattutto a cosa credere oppure no e perché farlo.
Siamo immersi in una “guerra ibrida” che accanto a quella convenzionale utilizza attacchi cibernetici e tecnologie satellitari coinvolgendo attività di disinformazione, oltre che i media tradizionali, quelli online e i social network.
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Basta un attimo di distrazione e prima o poi, è facile per tutti noi cadere dentro una rete appositamente congegnata per stordirci.
E’ successo anche al giornalista Tim Herford del Financial Times, che ha avuto il coraggio di ammettere i propri errori: mentre stava per fare un retweet del filmato “Battle of Snake Island” che dichiarava che i soldati russi avevano ucciso 13 soldati ucraini mentre la realtà era che erano stati solo catturati.
Cosa sarebbe successo se un personaggio come lui avesse condiviso il video ai suoi 200mila followers? Dobbiamo ricordare che in guerra la verità è sempre la prima vittima, è questo che mi sono ricordata ieri, trattenendomi nel condividere un tweet, che simulava perfettamente il mio stato dettato esclusivamente dalle emozioni, quando ho letto – sul canale del gruppo Killnet – che nessun italiano aveva usato una parola buona e onesta per la Russia, ed invece non è affatto così.
Ho capito però, quanto fa male un’offesa verso la propria propria patria e la propria cultura.
Si, perché parallelamente a ciò che possiamo vedere con i nostri occhi, l’underground Internet è in guerra da quando il collettivo Anonymous ha dichiarato una “cyber war” alla Russia.
Una risposta poi è arrivata da gruppi cyber filo-russi, non ultimo il gruppo Killnet affiancato da Legion, che hanno recentemente attaccato siti web italiani dichiarando l’Italia “paese dalle lingue lunghe”.
Cosa vogliono dire?
Che siamo arroganti e non parliamo con franchezza e verità? Si in un certo modo.
Ma la verità non si legge sui media, la verità è quella che ti rende la persona che sei ogni giorno, non le parole che ti scappano dalla bocca nel litigio con un amico, la verità è che forse non sarà nemmeno quell’amico che ti salverà la vita un giorno, magari sarà proprio quello che percepisci come nemico oggi a farlo un domani. Ditto.
Eccetto comunque che chiunque – da 3 anni a questa parte – è diventato sempre più sgarbato su Internet – ma non ne vogliamo analizzare i motivi – gli hacker di Killnet avvisano Anonymous, “non avresti dovuto minacciare il nostro Paese”.
Il fondatore di Killnet – Killmilk nel dark web – si è aperto in un’intervista a Lenta.ru e ha dichiarato le intenzioni del gruppo, lì potete leggere bene anche la loro storia e le loro intenzioni, tra cui anche smascherare dei profili Anon che si dichiarano tali, condividendo fake news.
Su RHC di questo ne ha parlato Giovanni Pollola: Anonymous: quando l’ansia da prestazione sfocia nelle fake news, smascherando una mera propaganda posticcia di qualche bontempone. Eppure forse Killnet non sa che in italia proviamo a fare anche questo, a rimanere lucidi su ciò che accade su Internet, senza perdere mai l’equilibrio.
Forse non sa che membri di Anonymous trollano a loro volta la sicurezza informatica italiana, forse non sa inoltre che alcuni Anonymous sono intervenuti in difesa dei cittadini russi – e non della Russia in quanto parte del conflitto in corso – forse non sa che molti Anonymous a livello globale si sono dichiarati solo in difesa del popolo ucraino e non si sono mai schierati né dall’una né dall’altra parte, nè dalla parte della Russia, né dalla parte dell’Ucraina, né dalla parte dell’Europa, né dalla parte dei Five Eyes, ben conoscendo la corruzione globale.
Primo punto, ma è questa la vera anima di Anonymous, rimanere anonimi: “Il punto non è che ho qualcosa da nascondere, il punto è che voglio che tu non veda niente”.
In questo caos creato dalle gang cyber globali, il nostro Paese è stato giudicato come quello “dalle lingue lunghe”.
Non che sia importante sottolinearlo perché è visibilmente una frase dettata dall’emozione più che da un pensiero razionale, ma è importante capire che l’informazione gioca un ruolo importante.
Mi sono più volte chiesta non dove sbagliano loro, ma dove noi possiamo fare meglio. Che cosa stiamo comunicando al mondo intero? Cosa vogliamo davvero raccontare e come vogliamo farlo?
E’ evidente che ci troviamo in un momento complicato, arriviamo da una pandemia, come la Spagnola si sviluppò dalla Prima Guerra Mondiale e come le pandemie – in una concatenazione – mettano in relazione malattia e guerra sino a diventare epidemia di paura, dove gli sforzi diplomatici sono stati sotterrati da una parola che mette paura più di tutte: nucleare. Come se ogni uomo su questo pianeta non sapesse che corrisponderebbe alla fine di tutto.
La famosa frase e titolo di un libro di una grande ambasciatore quale fu Claude Martin, “La diplomatie n’est pas un dîner de gala”, ci riassume il fatto che la diplomazia rappresenta lo strumento principale dell’arte del governare e per una buona ragione. Tuttavia la logica della sicurezza internazionale impone che gli sforzi diplomatici non sempre prevalgano perché hanno i loro limiti, l’invasione dell’Ucraina è avvenuta nonostante ogni sforzo dei diplomatici occidentali per scongiurarla.
Stime a parte poi delle intelligence mondiali indecise se Putin – che non si è ancora capito di cosa soffra – abbia perso oppure se la guerra sarà molto lunga, si dice che “un primo ministro ha come dovere, quando si tratta di politica estera, di non parlare”.
Così definire dittatore Erdogan – “Con i dittatori bisogna essere franchi, ma cooperare“, non ha reso l’Italia più forte in politica estera. Questo porta giustamente a delle conseguenze, ad un Europa che, pur essendo una delle potenze economiche mondiali – in assenza di una politica estera ben definita – sembra non abbia voce in capitolo nel cercare una risposta diplomatica alla crisi in atto, ma solo quella di tenere accesso ed in stand by il pulsante sullo schema “guerra fredda” a colpi di lingua…appunto.
Le relazioni internazionali invece andrebbero gestite con competenza, con una base approfondita della conoscenza della storia e della cultura dei paesi, ce lo insegna un grande diplomatico come Claude Martin, a cui la Cina disse a gran voce “non cercare di cambiarci”. La sua esperienza ci insegna come l’Europa sia incapace di leggere le intenzioni dei regimi autoritari.
Possiamo continuare ad umiliarci a vicenda, ma questo porterà solo ad aprire una ferita insanabile. Possiamo poi fare tutte le previsioni del caso, ma sino ad ora si sono rivelate non solo fallimentari, ma rischiose per ogni paese, sotto i colpi di click di una guerra invisibile – perchè anonima – che corre sui fili del cyber spazio, dove molti con coraggio procedono per tentativi ed errori. Approposito, Legion non è un collettivo indiano.
Nella guerra delle informazioni l’obiettivo principale è raggiungere la superiorità della propria informazione rispetto all’avversario, cosa significa?
Più informazioni, propaganda di stato o migliori informazioni? Significa sicuramente e prima di tutto una migliore informazione, quindi significa assicurarsi che le nostre informazioni siano affidabili e accurate. Purtroppo poi significa anche controllare l’informazione, negare la superiorità d’informazione dell’avversario e manipolarla.
Ancora più importante – in ambito cyber e sicurezza – è che la struttura informativa sia protetta, poiché è diventata un obiettivo a tutti gli effetti come le sue tecnologie che – come le reti delle telecomunicazioni – inglobano una miriade di attività essenziali in materia di difesa e offensiva per tutti gli stati. Se le reti sono vulnerabili, se un servizio si interrompe, siamo nei guai, soprattutto se dall’altra parte del cavo c’è qualcuno che ci ascolta attentamente.
The truth is, the Western media are quite easily manipulated, for they often craft their stories from press releases and tend, on the whole, to be indiscriminate about the nature and reliability of their sources.
— Ion Mihai Pacepa
Penso alle parole di una persona che mi ha insegnato cosa sia la disinformazione. Ion Mihai Pacepa, il più alto ufficiale in grado ad aver disertato dall’ex blocco sovietico.
“Se sei bravo nella Disinformazione, puoi cavartela in tutto”, ha detto. E a questo punto, l’unico modo per difenderti è adottare una delle strategie fondamentali nell’ecosistema cyber: zero trust.
Per chiarirci il framework Zero Trust stabilisce che nessun utente o applicazione dovrebbe essere considerato attendibile per impostazione predefinita e la fiducia avviene in base al contesto, come l’identità di un utente, e sempre attraverso la verifica per mitigare il rischio. Solo in questo modo si può comprendere se un’informazione è attendibile. Verificandola.
In realtà anche nel campo dell’informazione dei media c’è qualcosa di molto simile: la libertà d’informazione e di critica sono regolate dalla verità sostanziale dei fatti – attraverso un controllo incrociato delle fonti.
Altra cosa invece – diversa dalla libertà di informazione – sono le opinioni. Come quelle che hanno fatto precipitare l’Ambasciatore della Federazione Russa in Italia, Sergey Razov, a piazzale Clodio a Roma per depositare un esposto per istigazione a delinquere e apologia di reato un articolo del quotidiano La Stampa.
Nel marasma della situazione dettata dal conflitto russo-ucraino abbiamo visto, sentito e letto di tutto che con l’informazione invece non c’entra nulla. Parliamo di persone che dovrebbero trovare soluzioni diplomatiche e rappresentare milioni di cittadini ma le loro osservazioni dettate dal “Thinking Fast” non hanno fatto che peggiorare la situazione internazionale.
Senza dimenticare in rete, su Twitter, l’origami anti-Putin con i quattro maiali da distribuire in tutta la Russia.
Fatti che toccano anche l’ambiente politico e quello della diplomazia italiana, dall’errore di esclusione di Di Majo dal Premio Strega del grande italianista Evgenij Solonovich, l’uomo che ha fatto conoscere ai russi poeti come Dante, Petrarca, Quasimodo, Montale, avvolto in quel mondo più contrario a ciò che sta accadendo.
Certo è che la diplomazia ha le sue storie da raccontare, anche quelle relative alle dipendenze dal gas russo: dove sempre Di Majo ha smentito le valutazioni del «in due mesi riusciremo a dimezzare la dipendenza dal gas russo. Non saremo più dipendenti da eventuali ricatti», ecco il risultato del thinking fast italiano, nessun calcolo prima di ogni dichiarazione ma pura emozione.
Calcoli che invece in materia di politica estera hanno una profonda ed essenziale importanza. Va bene, sono cose che capitano, anche Biden ha sbagliato il nome del presidente coerano…
Certo, in questo marasma che ci sta stordendo, tentiamo di usare i mezzi tecnologici per tenere sotto controllo la cattiva informazione [degli altri]. Ma la nostra? Così, l’odio che appare sullo sfondo di una guerra e delle nazioni tra loro, si assimila a quella intolleranza tipica verso chi – ma questo accade ovunque – consideriamo diverso da noi, e che crediamo di superare per educazione, cultura e capacità. Le ragioni non c’entrano. Questa è paranoia.
Se troppo spesso giudichiamo gli altri – a torto o a ragione – dovremmo cercare il più delle volte di non giudicare nell’immediato le azioni degli uomini, ma dovremmo prima di tutto imparare a comprenderle, questo è uno dei grandi insegnamenti della filosofia spinoziana: Sedulo curavi humanas actiones non ridere, non lugere neque detestari, sed intelligere!
Il problema è che non ci fermiamo mai a pensare, ma in epoche di guerra, sarebbe meglio imparare a ragionare più lentamente, facendo prevalere il pensiero razionale. Si, cadiamo negli errori, facciamo gaffe e cadiamo nella disinformazione non perché siamo stupidi ma “perché siamo emotivamente eccitati”.
Tim Herford ha compreso che non ci vuole un maestro degli effetti video per ingannarci, perché una semplice bugia può andare bene, come grande parte della disinformazione che circola in rete, ma per riuscire a disntinguere la verità dalla bugia dovremmo rallentare e prestare attenzione sia all’affermazione che alla nostra reazione. Se non siamo abbastanza bravi per farlo c’è chi rischia la vita per noi per poterlo verificare.
Dal lato diplomatico, dovrebbe verificarsi qualcosa di simile anche nel cyber spazio: la diplomazia, l’unione di intenti hanno evitato e posto fine alle guerre alleviando la sofferenza umana. Là fuori nel mondo gli accordi su carta hanno portato al trionfo non solo della ragione sulle emozioni dettate dal momento ma nel vedere un vantaggio che va a proprio beneficio di ciò che sta succedendo e questo non è mai buono.
C’è un aneddoto che mi piace ricordare e cito sempre uno dei miei autori preferiti – David Foster Wallace – che mi ha insegnato che i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di morte:
“Ci sono due tizi che siedono insieme al bar in un posto sperduto e selvaggio in Alaska. Uno dei due tizi è credente, l’altro è ateo, e stanno discutendo sull’esistenza di Dio, con quell’intensità particolare che si stabilisce più o meno dopo la quarta birra. E l’ateo dice: “Guarda, non è che non abbia ragioni per non credere. Ho avuto anche io a che fare con quella roba di Dio e della preghiera. Proprio un mese fa mi sono trovato lontano dal campo in una terribile tormenta, e mi ero completamente perso e non riuscivo a vedere nulla, e facevano 45 gradi sotto zero, e così ho provato: mi sono buttato in ginocchio nella neve e ho urlato ‘Oh Dio, se c’è un Dio, mi sono perso nella tormenta, e morirò tra poco se tu non mi aiuterai’.” E a questo punto, nel bar, il credente guarda l’ateo con aria perplessa “Bene, allora adesso dovrai credere” dice, “sei o non sei ancora vivo?” E l’ateo, alzando gli occhi al cielo “Ma no, è successo invece che una coppia di eschimesi, che passava di lì per caso, mi ha indicato la strada per tornare al campo.”
Ecco nulla di più facile, questa storiella dovrebbe insegnare ad essere meno arroganti, ad avere anche solo un po’ di coscienza critica su di noi e le nostre certezze. “Perché una larga percentuale di cose sulle quali tendo a essere automaticamente certo risulta essere totalmente sbagliata e deludente”.
Cerchiamo quindi di incentivare il dialogo faccia a faccia. Il dialogo attraverso dichiarazioni porta spesso brutte sorprese, soprattutto in politica estera quando ci si arrocca su posizioni dettate dalle proprie convinzioni e, nel caso dell’Italia, spesso dalle emozioni. Tutte le guerre sono terminate con delle consultazioni. Forse sarebbe il caso di fare un primo passo per avviare un negoziato evitando tweet o dichiarazioni fuorvianti.