Massimiliano Brolli : 30 Aprile 2021 08:00
“Governi del Mondo, stanchi giganti di carne e di acciaio, io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della Mente. A nome del futuro, chiedo a voi, esseri del passato, di lasciarci soli. Non siete graditi fra noi. Non avete alcuna sovranità sui luoghi dove ci incontriamo”.
Così l’8 febbraio del 1996 iniziava il documento “A Declaration of the Independence of Cyberspace“, sull’applicabilità (o la sua mancanza) di una governance di Internet, in quel periodo storico in rapida crescita.
Sono passati più di 10 anni dalla pubblicazione del famoso saggio “The Hacker Manifesto” o “The Conscience of a Hacker” scritto da Loyd Blankenship, pubblicato l‘8 gennaio 1986, nel quale alcuni concetti risultano sovrapponibili e ancora in voga, anche se visti da una prospettiva differente.
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Il saggio “Dichiarazione di indipendenza del Cyberspazio”, venne commissionato dal pionieristico progetto 24 Hours in Cyberspace (un evento che radunò 1000 persone, tra i migliori fotografi, editor, programmatori e designer da tutto il mondo) a John Perry Barlow, fondatore della Electronic Frontier Foundation.
John è stato anche il paroliere del gruppo rock psichedelico californiano Grateful Dead, oltre che pioniere delle libertà civili di Internet che scrisse questo saggio in risposta alla messa in vigore della legge degli Stati Uniti D’America chiamata Telecommunications Act, proposta nel 1996.
Si trattava di un cambiamento epocale nella politica in materia di telecomunicazioni nel paese dagli anni ’30. La legge includeva anche il Communications Decency Act, volto a regolamentare i contenuti pornografici su Internet.
John Perry Barlow
Per Barlow, questo suonava come un chiaro tentativo da parte del governo di estendere il proprio controllo sulle terre libere del Cyberspazio, dove Washington “non aveva sovranità”.
L’indipendenza del cyberspazio venne presentata durante il World Economic Forum del 1996 che si svolse a Davos, in Svizzera, dove il cyberspazio (a detta di Barlow), doveva essere libero dai governi e dal mondo industriale, in quanto internet è senza confini, limiti di tempo e spazio.
“I Governi ottengono il loro potere dal consenso dei loro sudditi. Non ci avete chiesto né avete ricevuto il nostro. Noi non vi abbiamo invitati. Voi non ci conoscete e non conoscete neppure il nostro mondo. Il Cyberspazio non si trova all’interno dei vostri confini”.
Decretando che Internet non rientrava nei confini di qualsiasi paese, di conseguenza, non dovevano essere applicate leggi da parte di nessun governo. Al momento della stesura del documento, Barlow aveva già scritto molto su Internet e sui suoi fenomeni sociali e legali.
Il lavoro per cui era meglio conosciuto in precedenza era “The Economy of Ideas“, pubblicato nel marzo 1994 sulla rivista Wired, che faceva allusioni a Thomas Jefferson (Autore principale della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti) e ad alcune delle idee di cui avrebbe scritto nella sua dichiarazione.
La Dichiarazione di Indipendenza del Cyberspazio è un testo cruciale per comprendere “l’eccezionalità di Internet”: un modo di concettualizzarlo qualcosa di intrinsecamente separato dalla realtà, uno spazio distinto costruito attorno a regole e principi che non possono essere applicati altrove.
“Stiamo creando un mondo in cui ognuno in ogni luogo possa esprimere le sue idee, senza pregiudizio riguardo al fatto che siano strane, senza paura di essere costretto al silenzio o al conformismo”.
Per esprimere questa nuova visione utopica, Barlow non ha scelto per caso la metafora del “Cyberspazio”, che si tratta di un termine inventato dall’autore di fantascienza William Gibson.
Allo stesso modo, nel libro “From Counterculture to Cyberculture” dello storico Fred Turner, nella nascente metafora computazionale degli anni ’90 si parla di rovesciare la burocrazia e l’alienazione e riconnettersi con la società ideale del movimento per la libertà di parola e della “militanza controculturale” nata nell’università della California, nel campus di Berkeley negli anni ’60.
Questa visione, scrive Turner, era “un mondo in cui la gerarchia e la burocrazia erano state sostituite dalla ricerca collettiva di interessi personali”. Per queste ragioni, la Dichiarazione di Barlow occupa un posto nella storia di Internet come visione di particolari posizioni idealistiche, anche se mitologiche.
“Le vostre industrie dell’informazione, diventando obsolete, cercano di perpetuarsi proponendo leggi, in America e altrove, che affermano di possedere facoltà di parola in ogni parte del mondo. Queste leggi dichiarano che le idee sono dei prodotti industriali, meno preziosi della ghisa. Nel nostro mondo, tutte le creazioni della mente umana possono essere riprodotte e distribuite infinitamente a costo zero. La convenienza globale del pensiero non ha più bisogno delle vostre industrie”.
I miti sono profondamente connessi con la tecnologia e con le tecnologie della comunicazione. In particolare i miti sono racconti che esprimono ciò che Vincent Mosco chiama “sublime”, che, come meraviglie naturali, promuovono “una letterale esplosione di sentimenti che travolge brevemente la ragione” solo per essere riconquistata dopo.
Infatti, nel 2004, John Perry Barlow, riflettendo sull’ottimismo di quel tempo passato, osservò che “tutti noi invecchiamo e diventiamo più intelligenti”, pertanto fece un passo indietro rispetto a quanto scritto in un periodo in cui internet risultava acerbo rispetto a quello che è oggi divenuto per l’umanità.
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