Redazione RHC : 20 Giugno 2022 10:00
L’edizione 2022 del World Press Freedom Index, valuta lo stato del giornalismo in 180 paesi e territori, mette in evidenza gli effetti disastrosi delle notizie e del caos dell’informazione: gli effetti di uno spazio informativo online globalizzato e non regolamentato che incoraggia le fake news e la propaganda.
All’interno delle società democratiche crescono le divisioni dovute alla diffusione dei media d’opinione secondo il “modello Fox News” e alla diffusione di circuiti di disinformazione amplificati dal funzionamento dei social media.
A livello internazionale, le democrazie sono indebolite dall’asimmetria tra società aperte e regimi dispotici che controllano i loro media e piattaforme online mentre conducono guerre di propaganda contro le democrazie.
La polarizzazione su questi due livelli sta alimentando una maggiore tensione.
L’invasione dell’Ucraina (106°) da parte della Russia (155°) alla fine di febbraio riflette questo processo, poiché il conflitto fisico è stato preceduto da una guerra di propaganda.
La Cina (175°), uno dei regimi autocratici più repressivi al mondo, usa il suo arsenale legislativo per confinare la sua popolazione e isolarla dal resto del mondo, in particolare la popolazione di Hong Kong (148°), che è crollata nell’Indice.
Cresce il confronto tra “blocchi”, come si vede tra l’India (150°) e il Pakistan (157°) del nazionalista Narendra Modi. La mancanza di libertà di stampa in Medio Oriente continua ad avere un impatto sul conflitto tra Israele (86°), Palestina (170°) e gli stati arabi.
La polarizzazione dei media sta alimentando e rafforzando le divisioni sociali interne nelle società democratiche come gli Stati Uniti (42°), nonostante l’elezione del presidente Joe Biden. L’aumento della tensione sociale e politica è alimentato dai social media e dai nuovi media di opinione, soprattutto in Francia (26). La soppressione dei media indipendenti sta contribuendo a una forte polarizzazione in “democrazie illiberali” come la Polonia (66°), dove le autorità hanno consolidato il loro controllo sulla radiodiffusione pubblica e la loro strategia di “ri-polonizzazione” dei media privati.
Il trio di paesi nordici in cima all’Indice – Norvegia, Danimarca e Svezia – continua a fungere da modello democratico in cui fiorisce la libertà di espressione, mentre Moldova (40°) e Bulgaria (91°) si distinguono quest’anno grazie a un cambio di governo e la speranza che ha portato a un miglioramento della situazione per i giornalisti anche se gli oligarchi continuano a possedere o controllare i media.
La situazione è classificata come “pessima” in un numero record di 28 paesi nell’Indice di quest’anno, mentre 12 paesi, tra cui Bielorussia (153°) e Russia (155°), sono sulla lista rossa dell’Indice (che indica “pessima” libertà di stampa ) sulla mappa.
I 10 peggiori paesi al mondo per la libertà di stampa includono Myanmar (176°), dove il colpo di stato del febbraio 2021 ha riportato la libertà di stampa indietro di 10 anni, così come Cina, Turkmenistan (177°), Iran (178°), Eritrea (179°) e Corea del Nord (180°).
Il segretario generale di RSF Christophe Deloire ha dichiarato:
“Margarita Simonyan, caporedattore di RT (l’ex Russia Today), ha rivelato cosa pensa veramente in una trasmissione televisiva di Russia One quando ha detto: ‘nessuna grande nazione può esistere senza il controllo sulle informazioni’. La creazione di armi mediatiche nei paesi autoritari elimina il diritto all’informazione dei cittadini, ma è anche collegata all’aumento delle tensioni internazionali, che possono portare al peggior tipo di guerre. A livello nazionale, la “Fox Newsization” dei media rappresenta un pericolo fatale per le democrazie perché mina le basi dell’armonia civile e del dibattito pubblico tollerante. Sono necessarie decisioni urgenti in risposta a questi problemi, promuovendo un New Deal per il giornalismo, come proposto dal Forum sull’informazione e la democrazia, e adottando un quadro giuridico adeguato, con un sistema per proteggere gli spazi di informazione democratici online”.
Lavorando con un comitato di sette esperti del settore accademico e dei media, RSF ha sviluppato una nuova metodologia per compilare il 20° Indice mondiale della libertà di stampa .
La nuova metodologia definisce la libertà di stampa come
“l’effettiva possibilità per i giornalisti, come individui e come gruppi, di selezionare, produrre e diffondere notizie e informazioni nell’interesse pubblico, indipendentemente da ingerenze politiche, economiche, legali e sociali, e senza minacce alla loro sicurezza fisica e psichica”.
Per riflettere la complessità della libertà di stampa, per compilare l’Indice vengono ora utilizzati cinque nuovi indicatori: il contesto politico, il quadro giuridico, il contesto economico, il contesto socioculturale e la sicurezza.
Nei 180 paesi e territori classificati da RSF, gli indicatori sono valutati sulla base di un’indagine quantitativa delle violazioni della libertà di stampa e abusi contro giornalisti e media, e uno studio qualitativo basato sulle risposte di centinaia di esperti di libertà di stampa selezionati da RSF (giornalisti , accademici e difensori dei diritti umani) a un questionario con 123 domande. Il questionario è stato aggiornato per tenere maggiormente conto delle nuove sfide, comprese quelle legate alla digitalizzazione dei media.
Alla luce di questa nuova metodologia, occorre prestare attenzione quando si confrontano le classifiche e i punteggi del 2022 con quelli del 2021. La raccolta dei dati per l’indice di quest’anno si è interrotta alla fine di gennaio 2022, ma sono stati effettuati aggiornamenti per i paesi da gennaio a marzo 2022 dove la situazione era cambiata radicalmente (Russia, Ucraina e Mali).
Per quanto riguarda l’Italia, non siamo messi bene. Ci troviamo al 58simo posto in una scala da 1 a 180.
La libertà di stampa purtroppo nel mondo occidentale è in forte pericolo come l’impegno sui diritti umani. Spesso l’occidente parla di libertà di pensiero e di parola, ma solo quando le parole fanno comodo mentre quando sono scomode, per moltissimi motivi, vengono messe a tacere.
E non si parla solamente di grandi fughe di informazioni classificate come nel caso di WikiLeaks e dello scandalo del Datagate, ma anche di semplici incidenti informatici dove spesso, anche noi veniamo messi a tacere, con ripercussioni di altra natura e in altri luoghi.
Questo per dire cari lettori di RHC, che quando ci chiedete perché non abbiamo pubblicato nulla su uno specifico incidente informatico, potrebbe essere perché non è che non abbiamo voluto, ma perchè qualche pressione è arrivata dall’esterno e siamo stati impossibilitati a farlo… almeno per il momento.
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