Daniela Farina : 9 Gennaio 2023 08:21
Sono ancora molti quelli che sostengono che l’hikikomori sia un fenomeno esclusivamente giapponese. Eppure a livello scientifico esistono ormai numerose ricerche che certificano l’esistenza di casi sovrapponibili per caratteristiche agli hikikomori giapponesi anche in Spagna, Francia, Italia e Stati Uniti, nazioni con una cultura profondamente diversa da quella nipponica.
Parliamo dunque di un fenomeno sociale e mondiale destinato a crescere.
I primi casi in Italia sono stati “diagnosticati” nel 2007, per poi diffondersi ed essere sempre più individuati come tali. Nel 2013 la Società Italiana di Psichiatria ne individua circa 3 milioni tra i 15 e i 40 anni.
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Una stima riferita al 2018 parla di 100 mila casi di hikikomori in Italia e con la pandemia la situazione è diventata allarmante. L’emergenza sanitaria da Covid-19 e il conseguente isolamento forzato a cui sono stati costretti i ragazzi può aver giocato un ruolo importante in questa situazione.
“La pandemia ha sicuramente influito – continua Crepaldi – perché ha spinto alcuni ragazzi a cronicizzare il problema ma non solo: abbiamo avuto casi di ragazzi che prima del lockdown stavano ancora frequentando la scuola e avevano una vita sociale ma dopo il lockdown hanno fatto fatica a uscire. Nel periodo successivo alla chiusura, non a caso, abbiamo registrato un boom di richieste di aiuto“
E’ importante sottolineare come il Giappone rimanga il paese più colpito in assoluto e la ragione principale va ricercata nella competizione che pervade tutti i suoi contesti sociali, da quelli scolastici a quelli lavorativi.
ll termine hikikomori fu coniato dallo psichiatra Tamaki Saitō, riflettendo sulla similarità sintomatologica di un numero sempre crescente di adolescenti che mostravano letargia, incomunicabilità e isolamento totale ed uno stile di vita caratterizzato da un ritmo circadiano sonno-veglia completamente invertito “con ore notturne spesso dedicate a componenti tipiche della cultura popolare giapponese, come la passione per il mondo manga e, soprattutto, la sostituzione dei rapporti sociali diretti con quelli mediati via Internet”
Da cosa nasce tale fenomeno ?
Le dinamiche socio culturali potenzialmente in grado di favorire l’hikikomori sono numerose ed individuarle tutte rischia di diventare un lavoro complesso che si presta a scadere in forzature, stereotipi e generalizzazioni.
Bisogna allora trovare un filo conduttore in quanto tutte le cause hanno un aspetto in comune: contribuiscono, in misura differente, ad aumentare l’esposizione e la vulnerabilità alla pressione di realizzazione sociale, che potremmo considerare la causa madre.
Seppur con intensità e modalità differenti rispetto a quelle giapponesi, anche in Italia le pressioni di realizzazione sociale sono intense e vengono alimentate da tutta una serie di fattori socio culturali che possono favorirne lo sviluppo.
Alcune di queste sono in comune con il Giappone, ovvero il calo delle nascite e l’allontanamento delle nuove generazioni dalle ideologie religiose, altre sono specifiche del nostro contesto, come ad esempio l’alto tasso di disoccupazione giovanile che alza la barriera di ingresso per i giovani nel mondo del lavoro e contribuisce e generare negatività sulle prospettive future.
Poi ci sono quegli aspetti trasversali a tutti i paesi economicamente sviluppati del mondo come la diffusione capillare dei social network che sposta il livello della competizione sociale su scala mondiale e contribuisce alla propagazione di una cultura di immagine sempre più centrale nelle nostre vite.
Le fonti di pressione sono dunque infinite e variano da contesto a contesto, così come da persona a persona. Alcuni soffriranno maggiormente quelle scolastiche, altri quelle lavorative, altri ancora quelle riguardanti l’accettazione dei pari. Tutto dipende dalle proprie disposizioni personali così come dal contesto sociale, culturale e familiare di appartenenza.
Gli hikikomori attraverso il ritiro vogliono sostanzialmente sfuggire da tali pressioni, divenute con il tempo insostenibili e desiderano sottrarsi dalla competizione. Sono proprio le diverse fonti di pressione a determinare le differenti modalità di manifestazione del fenomeno a seconda del contesto socioculturale.
Per fare un esempio concreto,sembra che in Italia i giovani hikikomori non si isolino del tutto all’interno della propria abitazione, ma conservino un rapporto, seppur conflittuale, con genitori e parenti.
Gli hikikomori giapponesi, al contrario, tendono a recludersi completamente, tagliando qualsiasi tipo di relazione diretta anche con i familiari.
Questa differenza potrebbe essere dovuta al fatto che per i giovani giapponesi i genitori rappresentano culturalmente una fonte di pressione sociale più forte rispetto a quanto lo siano i genitori italiani per i figli.
Il medesimo discorso ha validità sia per tutte le differenze che esistono tra una nazione e l’altra, ma non solo, anche per quelle riscontrate tra regioni e scenari urbani.
Se la pressione di realizzazione sociale può essere identificata come la causa madre, ovvero il filo rosso che collega tutti i casi di isolamento sociale volontario, bisogna precisare che è solamente il combustibile, Il fuoco ossia l’emozione dominante che si trova alla base della scelta di ritiro è la paura.
La paura di fallire, la paura di essere giudicati per i propri insuccessi, la paura di non trovarsi all’altezza delle aspettative altrui, la paura di non riuscire a raggiungere gli obiettivi che si ritengono essere alla portata di tutti.
Spesso sono ragazzi dotati intellettualmente e fin da piccoli abituati a ricevere attenzioni e complimenti costruendo in questo modo un’identità di sé corrispondente ai feedback ricevuti. Se per qualsiasi motivo il gap tra quello che è il proprio sé ideale e la realtà è troppo ampio allora la pressione a raggiungere il modello idealizzato aumenta insieme alla paura.
Parte della nostra identità si plasma in relazione a come noi ci percepiamo attraverso lo sguardo altrui, quello che il sociologo Charles Horton Coley chiamava “l’io riflesso”
Dunque la pressione di realizzazione aumenta la paura del fallimento sociale che a sua volta potrà attivare nei soggetti più fragili e predisposti, quel meccanismo di difesa primordiale che si innesca alla percezione di un pericolo ossia la fuga. Nel caso specifico il pericolo è il giudizio altrui, mentre la fuga su concretizza nell’auto reclusione. La casa è la tana che permette di ridurre tale pericolo.
Altra emozione chiave è la vergogna, che non è un’emozione primaria come la paura bensì una emozione di origine sociale. Essa implica alcuni aspetti di auto valutazione di cui parlavamo in precedenza.
Gli hikikomori cercano di evitare tutte le situazioni che possono attivare un meccanismo di controllo sociale, ovvero un raffronto tra il proprio grado di successo personale e quello di un’altra persona o di un gruppo di persone.
Il confronto si può attivare in una situazione sociale oppure in una situazione privata. Per esempio quando guardiamo le foto dei nostri amici su Istagram o su Facebook inneschiamo, inevitabilmente, un confronto sociale tra la nostra condizione e quella loro.
Paura e vergogna sono quindi due lati della stessa medaglia. Due emozioni che coesistono e si fondono in un unico sentimento : la paura di essere giudicati.
Questa tipologia di paura si sgonfia e si disinnesca nel momento in cui la si affronta, ovvero nel momento in cui ci si rende conti che si tratta semplicemente di un errore di valutazione, nient’altro che un’illusione. Elaborare le paure vuol dire padroneggiarle!
In questo modo la sofferenza dell’isolamento volontario potrà trasformarsi in potenziale energia,voglia di riscatto ed occasione di crescita personale.
Davanti al pericolo, davanti alla paura, ci sono sempre due modi di reagire: uno è fuggire e l’altro è lottare.
Gli hikikomori si isolano nella speranza di fuggire dalle pressioni ma inconsapevolmente finiscono per crearsene una ancora più grande. L’immobilità da vita ad un circolo vizioso per cui si perde tempo e si genera ansia e paura, più si prova ansia e paura e più ci si sente bloccati. Questa morsa stritola i giovani finché un giorno il gap con i coetanei apparirà loro così ampio da risultare incolmabile.
La paura, l’emozione adattativa per eccellenza necessaria all’uomo per attivare rapidamente il proprio corpo di fronte ad un pericolo, è diventata oggi un nemico.
Se il ragazzo rifiuta la scuola, è bene non insistere ma magari trovare un piano didattico personalizzato che preveda la frequenza a casa, da remoto. Sicuramente occorre evitare atteggiamenti coercitivi come staccare internet, oppure usare la forza per impedire al figlio di chiudersi a chiave in camera.
In Italia il cyberbullismo assume caratteristiche e modalità di espressione differenti rispetto a quelle giapponesi eppure anche da noi il subire atti di cyberbullismo porta gli hikikomori a sviluppare un’immagine di sé come individui differenti dagli altri e secondo alcuni dati ISTAT le persecuzioni non si limitano al contesto scolastico ma proseguono sfruttando i nuovi mezzi di comunicazione dove le conseguenze sono devastanti perché mantengono un grado di consistenza nel tempo.
Non vi è luogo dove ci si possa rifugiare e l’immagine pubblica può essere percepita come irrimediabilmente compromessa.
I contraccolpi psicologici di tutto questo non riguardano solo l’immediato ma possono avere delle importanti ripercussioni anche sul medio-lungo termine.
Le vessazioni subite sono in grado di generare un vero e proprio trauma con gravi conseguenze sul processo evolutivo della persona.
Cyberbullismo ed isolamento sociale volontario sono quindi fortemente correlati tra loro.
Per invertire la rotta è necessario smettere di concentrarci, esclusivamente, sul progresso scientifico e tecnologico, in quanto dobbiamo investire molte più energie e risorse sulla crescita esistenziale come esseri umani.
Dovremmo farci carico socialmente di parlare di certi argomenti, aumentare la consapevolezza vuol dire essere pronti a spezzare certe catene che potrebbero farci parecchio male.
Per uscire dalla palude e per spezzare le catene è necessaria un’evoluzione del pensiero attraverso la capacità di divenire quello che Nietzsche chiamava “il superuomo” ovvero un essere umano che riesce a convivere con la consapevolezza dell’inesistenza di uno scopo predeterminato nella vita, riuscendo a superare i dogmi sociali ed etici ed esprimendo la propria creatività e la propria umanità senza vincoli o limitazioni.
L’hikikomori non è solo fuga, non è solo paura o vergogna, dietro tutto c’è un vuoto motivazionale, una perdita di significato che sembra riguardare in modo trasversale le nuove generazioni e la rete.
Ci sarebbe veramente tanto da dire su tale fenomeno che anche nel nostro Paese sta prendendo sempre più piede tra i giovani. Il sito https://www.hikikomoriitalia.it/ ne è la principale testimonianza a supporto di tutto ciò.
Ad oggi il gruppo di genitori Facebook di Hikikomori Italia conta migliaia di membri provenienti da ogni zona del paese, mentre gli spazi dedicati agli hikikomori comprendono, oltre al gruppo, anche un forum ed una chat e vedono transitare al proprio interno oltre 500 utenti con circa 10.000 messaggi pubblicati al giorno, un grado di partecipazione tale da suggerire un forte bisogno di interazione sociale.
“Gli hikikomori desiderano entrare in contatto con le altre persone, ma spesso riescono a farlo solo con coloro da cui non si sentono giudicati, in questo caso con soggetti che hanno problematiche simili alle loro”. (Yong & Kaneko)
La rete è quindi fondamentale, unica premura che il contesto on line rimanga un luogo positivo e non diventi uno spazio negativo.
L’obiettivo del progetto Hikikomori Italia è quello di sensibilizzare sul tema dell’isolamento sociale volontario nel nostro paese e creare una rete nazionale che metta in comunicazione tutti coloro che, per un motivo o per l’altro, siano interessati alla questione. In questo modo è possibile condividere esperienze, informazioni e le singole competenze accelerando il processo di apprendimento del fenomeno a livello nazionale e stimolando l’implementazione degli strumenti necessari per far fronte a questa specifica problematica.
Il nostro obiettivo è quello di parlare di alcuni temi così da rendere consapevoli tutti.
La digitalizzazione è un aspetto di quel progresso tecnologico che nel corso degli ultimi due secoli, ha evidentemente migliorato la nostra esistenza e la nostra aspettativa di vita.
La digitalizzazione invece della gioia è spesso accompagnata dalla paura.
La paura per l’Online Grooming, per il Cyber bullying, per il Cyber suicide, per il Cyber racism, la paura per la dipendenza da Internet, la paura per le truffe on line, per il Gioco d’azzardo elettronico, la paura per i problemi fisici connessi all’utilizzo del computer.
La digitalizzazione facendo leva sulla paura non sta rendendo un buon servizio alla sua stessa causa.
Ciò non toglie che non c’è effetto desiderato che non abbia effetti collaterali non previsti ed è per questo che è importante essere consapevoli sia degli aspetti positivi che di quelli negativi delle innovazioni.
Dobbiamo essere consapevoli in modo da non influenzare negativamente le nostre vite personali ed il loro benessere.