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Il discorso di Steve Jobs ai ragazzi della Stanford University

Redazione RHC : 16 Giugno 2021 09:00

Era il 12 di giugno del 2005, quasi 20 anni fa, quando Steve Jobs salì sul palco della Stanford University. Dopo molto tempo è bello rileggerlo in quanto risulta sempre pieno di significato e profondamente attuale.

«Voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Solo tre storie” esordì Steve Jobs. “La prima verte sulla tematica dell’unire i puntini di una vita. Quando ero giovane ho lasciato l’università dopo soli sei mesi, ma ho continuato a seguire i corsi per un altro anno e mezzo, poi me ne sono andato definitivamente. Perché l’ho fatto? È iniziato tutto prima che nascessi.

La mia madre biologica era una giovane studentessa universitaria e quando rimase incinta decise di darmi in adozione. Voleva a tutti i costi che io fossi adottato da una coppia di persone laureate, e si adoperò affinché le cose fossero organizzate per farmi vivere nella casa di un avvocato e di sua moglie. Sfortunatamente quando nacqui, questa coppia cambiò idea all’ultimo momento e decise che voleva adottare una femmina. Così, i miei futuri genitori adottivi, che erano al secondo posto nella lista d’attesa, ricevettero una telefonata nel bel mezzo della notte: “C’è un bambino, un maschietto, inatteso. Lo volete?”. Loro risposero: “Certo!”.

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In seguito la mia mamma biologica scoprì che questa coppia non era laureata: la donna non aveva terminato il college e l’uomo non si era neppure diplomato al liceo. Pertanto si rifiutò di firmare le ultime carte relative all’adozione. Cambiò idea alcuni mesi dopo, quando i miei genitori adottivi promisero che un giorno mi avrebbero mandato al college.

E 17 anni dopo ci andai. Ma ingenuamente ne scelsi uno costoso quanto Stanford, e tutti i risparmi dei miei genitori furono investiti per pagarmi le rette. Dopo sei mesi non riuscivo a trovare il reale valore di tutto ciò.

Non sapevo minimamente ciò che avrei voluto fare della mia vita e non immaginavo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Intanto stavo dilapidando tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta una vita. Così decisi di mollare e di continuare ad avere fiducia: tutto sarebbe andato bene lo stesso», raccontò Steve Jobs.

La prima storia: la calligrafia

«All’epoca fu molto dura prendere una tale decisione, ma se guardo indietro è stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso nella mia vita. Al momento dell’abbandono del college, smisi di seguire i corsi che non mi interessavano e iniziai a seguire invece quelli che trovavo più interessanti.

Non è stato semplice. Non avevo una stanza nel dormitorio, ero costretto a dormire per terra nelle camere dei miei amici. Per comprarmi da mangiare riportavo al venditore le bottiglie di Coca-Cola in cambio di cinque centesimi di deposito, e camminavo per sette miglia in giro per la città, ogni domenica notte, per guadagnarmi finalmente un buon pasto al tempio degli Hare Krishna. Lo adoravo. Ma tutto quello che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato poi senza prezzo. Vi faccio un esempio.

Il Reed College all’epoca offriva forse i migliori corsi di calligrafia del Paese. Nel campus, ogni poster e ogni etichetta erano scritte a mano con calligrafie stupende. Avevo abbandonato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito quello di calligrafia per imparare a scrivere in quel modo. Fu lì che imparai la morfologia e l’utilizzo dei caratteri Serif e Sans Serif, le differenze tra gli spazi tra le combinazioni di lettere, compresi che cosa rende grande una stampa tipografica testuale. Fu bellissimo e io lo trovavo affascinante»

La creazione del Mac

«Nessuna di queste cose aveva però alcuna speranza di trovare un’applicazione pratica nella mia vita. Ma 10 anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo computer Macintosh, tutto mi tornò utile. E lo veicolammo nel Mac. È stato il primo computer con caratteri tipografici di grande qualità. Se non avessi partecipato al corso di calligrafia, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o spaziati con criteri proporzionali. E visto che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con tali caratteristiche.

Se non avessi abbandonato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i pc ora non avrebbero quelle capacità di tipografia che invece possiedono. Certamente era impossibile per me, all’epoca in cui ero al college, “unire i puntini” guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto evidente guardando indietro 10 anni più tardi.

Quindi, non è possibile “unire i puntini” guardando avanti; si possono unire solo a posteriori, guardando indietro. Pertanto bisogna aver sempre fiducia che i puntini in qualche modo, nel vostro futuro, si uniranno. Dovete credere in qualcosa: il nostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo approccio non mi ha mai abbandonato e ha sempre fatto la differenza nella mia vita», disse Jobs.

La seconda storia: l’amore

«Sono stato fortunato: ho scoperto presto cosa fare nella vita. Woz (Steve Wozniak) e io abbiamo fondato la Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in dieci anni Apple da noi due nel garage è passata ad essere una compagnia da 2 miliardi di dollari con più di 4.000 dipendenti. Avevo appena compiuto 30 anni quando sono stato licenziato. Come si può essere licenziati dall’azienda da te fondata?

Beh, quando Apple era cresciuta, avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me. E per il primo anno le cose andarono bene. Ma poi le nostre visioni circa il futuro iniziarono a divergere e alla fine ci scontrammo. A questo punto, il Consiglio di Amministrazione si schierò dalla sua parte. A 30 anni ero fuori. E in modo plateale. Quello che era stato l’obiettivo principale della mia vita era andato perduto e io ero distrutto.

Per alcuni mesi non sapevo davvero che fare. Sentivo di aver tradito la generazione di imprenditori prima di me; come se avessi perso la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce cercando di scusarmi per aver fallito così miseramente. Era stato un fallimento pubblico e io pensai anche di scappare via dalla Silicon Valley.» ricordò Steve Jobs.

Licenziato da Apple

«Ma qualcosa cominciò a sorgere lentamente in me, amavo ancora le cose che avevo fatto. L’evoluzione degli eventi con Apple non modificò di una virgola il mio atteggiamento. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare. Non me ne resi conto, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la cosa migliore che mi potesse accadere. La pesantezza di avere successo era stata sostituita dalla leggerezza di essere ancora un esordiente, molto meno sicuro su ogni cosa. Ciò mi permise di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.

Durante i cinque anni successivi, fondai un’azienda chiamata NeXT, un’altra chiamata Pixar e mi innamorai di una donna fantastica che sarebbe divenuta mia moglie. La Pixar creò il primo film in animazione digitale Toy Story, e attualmente è lo studio di animazione di maggior successo al mondo. In un considerevole susseguirsi di eventi, Apple ha poi comprato NeXT, io sono ritornato ad Apple e la tecnologia che abbiamo sviluppato con NeXT è al centro dell’attuale rinascita di Apple.

Inoltre Laurene e io abbiamo costruito una splendida famiglia. Sono alquanto certo che niente di tutto questo sarebbe accaduto se Apple non mi avesse licenziato. Fu una medicina dal sapore decisamente amaro, ma ritengo che il paziente ne avesse necessità».

Non accontentatevi

«Qualche volta la vita ti colpisce alla testa con un mattone. Ma non bisogna perdere la fede. Sono convinto che l’unica cosa che mi abbia fatto andare avanti sia stato l’amore per ciò che ho fatto. Bisogna trovare quel che si ama.

E questo è vero sia per il nostro lavoro sia le persone amate. Il lavoro riempirà gran parte della vostra vita, e l’unico modo per essere davvero soddisfatti è fare ciò che crediamo essere un ottimo lavoro. E l’unico modo per fare un ottimo lavoro è amare quello che facciamo.

Se non l’avete ancora trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Ve lo dico con tutto il cuore, lo capirete quando lo troverete. E, come in tutti i grandi rapporti, migliorerà con il trascorrere del tempo. Quindi, continuate a cercare fino a quando lo troverete».

La terza storia: la morte

«Quando avevo 17 anni, lessi una citazione che diceva più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, un giorno constaterai che hai fatto bene”. Ciò mi colpì e da allora, nei 33 anni successivi, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, avrei voglia di fare quello che sono in procinto di fare oggi?”.

E ogni volta che la risposta è stata no per troppi giorni di seguito, so che devo cambiare qualcosa.

Ricordarmi che morirò presto è lo strumento più importante che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose – le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutte le paure di imbarazzo o fallimento – svaniscono dinanzi alla morte, lasciando solo ciò che è davvero importante.

Ricordarci che stiamo morendo è il modo migliore che io conosca per evitare la trappola di pensare che abbiamo sempre qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore».

La diagnosi nel 2003

«Circa un anno fa, mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto una Tac alle 7.30 del mattino che ha mostrato chiaramente che avevo un tumore al pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse il pancreas. I dottori mi dissero che questa tipologia di cancro era il più delle volte incurabile e che la mia aspettativa di vita era di 3-6 mesi. Il mio dottore mi disse di mettere ordine nei miei affari (che nel linguaggio medico significa preparati a morire). Significa prepararsi a dire in pochi mesi ai tuoi figli tutto quello che credevi di poter dire loro in dieci anni. Essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Dire i tuoi addio.

Ho vissuto con quella diagnosi tutto il giorno. In tarda serata ho fatto una biopsia, ossia mi hanno infilato un endoscopio giù per la gola, attraverso lo stomaco sino all’intestino, mi hanno inserito un ago nel pancreas e prelevato alcune cellule dal mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie ,che era lì, mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a piangere, perché è risultato essere un tipo di cancro al pancreas molto raro e curabile con l’ intervento chirurgico. Ho fatto l’intervento e adesso sto bene.

Quella è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che resti tale per qualche altro decennio. Essendoci passato, adesso posso raccontarvelo con un po’ più di certezza rispetto a quando la morte per me era solo un concetto astratto. Nessuno vuole morire. Anche le persone che anelano al paradiso, in realtà non vogliono morire per andarci. Ma la morte è la fine che tutti condividiamo.

Nessuno le è mai sfuggito. E così deve essere, perché la morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. È l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per fare posto al nuovo. Ora il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano da oggi, diventerete gradualmente il vecchio e verrete spazzati via. Scusate se sono così drastico, ma è vero».

Il tempo è limitato, non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro

«Non fatevi intrappolare dai dogmi, ossia vivere seguendo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il frastuono delle opinioni altrui soffochi la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. Essi sanno già che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario» assicurò Jobs.

Stay Hungry, Stay Foolish

«Quando ero giovane, c’era un incredibile periodico chiamato The Whole Earth Catalog. Era una delle bibbie della mia generazione. Creata da Stewart Brand non lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart le diede vita col suo tocco poetico. Fu alla fine degli anni ‘60, prima della comparsa dei personal computer e della videoimpaginazione.

Tutto era fatto con macchine da scrivere, forbici e fotocamere Polaroid. Fu una specie di Google in formato cartaceo, 35 anni prima che Google venne alla luce: era idealistico e pieno di strumenti chiari e nozioni eccezionali. Stewart e il suo gruppo pubblicarono diversi numeri e, alla fine, un ultimo numero. Eravamo a metà degli anni ’70 ed ero vostro coetaneo.

Nell’ultima pagina di quell’ultimo numero c’era la fotografia di una strada di campagna ritratta appena dopo l’alba, quel tipo di strada sulla quale potreste trovarvi a fare l’autostop se siete persone abbastanza avventurose.

Sotto la foto c’erano le parole: “Stay Hungry. Stay Foolish” (Siate affamati, siate folli).

Era il loro ultimo messaggio al momento del loro congedo giornalistico. Stay Hungry. Stay Foolish. E io me lo sono sempre augurato per me stesso.

E ora lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish»

concluse Steve Jobs

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