Daniela Farina : 27 Giugno 2021 08:00
Autore: Daniela Farina
Data Pubblicazione: 22/06/2021
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Il mondo digitale sta prendendo il sopravvento , ridefinendo qualunque cosa prima che ci sia offerta la possibilità di riflettere e decidere. Possiamo apprezzare gli ausili e le prospettive che ci offre l’interconnessione ma allo stesso tempo vediamo aprirsi nuovi territori fatti di ansia, pericoli e violenze. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono più diffuse dell’elettricità e raggiungono tre di sette milioni di persone sulla Terra.
I dilemmi intrecciati della conoscenza, dell’autorità e del potere non sono più limitati ai luoghi di lavoro come negli anni Ottanta del Novecento, ma sono ramificati in tutte le necessità quotidiane e mediano quasi ogni forma di partecipazione sociale. Fino a poco tempo fa, sembrava ancora sensato concentrarsi sulle sfide poste da una società oppure un ambiente di lavoro contraddistinti dall’ informazione.
Oggi gli antichi interrogativi vanno ricollocati nella cornice più vasta possibile, che possiamo definire civiltà, o per essere più specifici, civiltà dell’ informazione.
Potremmo chiamare casa questa civiltà che sta emergendo?
È il punto di origine che ogni specie usa per orientarsi. Senza orientamento non potremmo esplorare territori sconosciuti e saremmo perduti. Uccelli, api, tartarughe … nidi, tane, colline, grotte, spiagge.. quasi ogni creatura nutre questo legame profondo con il luogo dove la vita è potuta fiorire, quel luogo che chiamiamo casa. Il fatto che ogni viaggio e ogni esodo coincidano con la ricerca di una casa appartiene alla natura umana.
Il nostro cervello però è più grande di quello degli uccelli e delle tartarughe, perciò sappiamo che non è sempre possibile o perfino desiderabile ritornare nello stesso fazzoletto di terra. Casa non deve per forza coincidere con un singolo posto.
Possiamo scegliere la sua forma e il suo luogo, ma non il suo significato.
Casa è dove conosciamo tutti e tutti ci conoscono, dove amiamo e siamo amati.
Casa è possesso, voce, rapporto e santuario, essere liberi e fiorire, rifugiarsi e progettare.
La sensazione che casa nostra ci stia sfuggendo ci provoca un desiderio insostenibile.
I Portoghesi la chiamano “saudade” una parola che nei secoli ha racchiuso la nostalgia e il desiderio di tornare degli emigranti lontani dalla propria terra.
Gli sconvolgimenti del Ventunesimo secolo hanno trasformato questa ansia e questo desiderio in un desiderio universale che coinvolge fino in fondo ciascuno di noi.
Nel 2000 un gruppo di scienziati ed ingegneria informatici della GeorgiaTech collaborò su un progetto chiamato Aware Home “ la casa consapevole”.
L’obiettivo era quello di creare un laboratorio vivente per studiare l’uso dell’informatizzazione in ogni luogo, Immaginarono una simbiosi uomo casa nella quale molti processi animati e inanimati sarebbero stati catturati da una complessa rete di sensori consapevoli del contesto incorporati nell’abitazione e da appositi computer indossati dai suoi occupanti. Il design mirava ad una collaborazione automatizzata wireless tra la piattaforma che ospitava le informazioni personali ottenute dai computer indossati ed una seconda piattaforma che ospitava le informazioni ambientali ricevute dai sensori.
Si poneva l’accento sulla fiducia, sulla semplicità, sulla sovranità dell’individuo e sulla inviolabilità della casa come dominio privato. Il sistema informativo della Aware Home era pensato come un semplice circuito chiuso con 2 soli nodi interamente controllato dagli occupanti della casa. Tutto il materiale raccolto sarebbe stato archiviato nei computer indossati dagli occupanti per assicurare la privacy delle informazioni. Nel 2018 il mercato globale delle smart home è stato valutato 36 miliardi di dollari e ci si aspetta che raggiunga i 51 miliardi di dollari entro il 2023. I numeri lasciano intravedere un terremoto.
Prendiamo in considerazione il termostato Nest, realizzato da una azienda di proprietà della Alphabet, la holding di Google, poi fusasi con il colosso di Mountain View nel 2018. Nest fa molte cose immaginate dalla Aware Home: raccoglie i dati sul suo usi e sul suo ambiente, utilizza calcoli e sensori per imparare i comportamenti di chi vive a casa. Le app di Nest inoltre possono raccogliere dati da altri prodotti interconnessi, come auto, forni, tracker per il fitness, letti.
Tali sistemi possono ad esempio accendere le luci se scorrono un movimento anomalo, segnalare delle registrazioni audio e video, mandare notifiche ai padroni di casa oppure ad altre persone. In seguito alla fusione con Google, il termostato, come altri prodotti Nest, sarà incorporato nelle intelligenze artificiali Google, compreso il suo assistente digital
Come Aware Home il termostato ed i suoi fratelli raccolgono un numero immenso di conoscenze e di conseguenza di potere, ma per conto di chi?
Pensate che per il wi-fi e per la condivisione in rete le banche dati intricate e personalizzate di questo termostato vengono caricate sui server di Google .
Ogni termostato prevede una privacy policy, un consenso sui dati del servizio ed un consenso finale utente. Nel 2018 i presupposti da cui partiva Aware Home si sono volatilizzati. Dove sono finiti? Chi li ha spazzati via?
Aware Home come altri progetti visionari immaginava un futuro digitale in grado di aiutare i singoli individui ad una vita più efficiente. L’aspetto più critico è che nel 2000 questa visione presumeva il ruolo primario della privacy dell’ individuo, si pensava cioè che la persona che avesse deciso di digitalizzare la propria vita avrebbe detenuto i diritti esclusivi sulla conoscenza ricavata da simili dati e sul suo uso possibile.
Oggi al contrario, il diritto alla privacy, alla conoscenza e al suo uso è stato usurpato da un mercato aggressivo che ritiene di poter gestire unilateralmente le esperienze delle persone e le conoscenze delle stesse.
Come le civiltà industriali hanno potuto prosperare a discapito della natura e ora minacciano di distruggere la Terra così una civiltà dell’ informazione, alimentata esclusivamente dal potere della strumentalizzazione prospererà a discapito della natura umana e minaccerà di distruggerla.
Il problema non è la tecnologia ma è la logica che permea la tecnologia.
Le tecnologie sono sempre al servizio dell’economia. Il DNA della tecnologia è quello che il sociologo Max Weber chiama “orientamento economico”. I fini dell’economia osserva Weber sono sempre intrinsechi allo sviluppo ed alla diffusione della tecnologia. L’azione economica determina gli obiettivi, mentre la tecnologia offre i mezzi appropriati.
Così come la società industriale era concepita come un macchinario ben funzionante, la società tecnologica rischia di superare le storiche ambizioni per diventare una presa di potere da parte della sovranità individuale.
Solo noi possiamo cambiare il corso degli eventi, è necessario uno scontro che rimetta al centro della civiltà dell’ informazione il bene dell’ umanità
Comunicazione, informazione, consumi, viaggi hanno stimolato l’autoconsapevolezza dell’individuo e la sua capacità di immaginare e prevedere.
Ci è stato promesso il sogno di una informazione illimitata ed infinita in grado di migliorare le nostre vite indaffarate anticipandone i bisogni, tuttavia le risorse che potevano migliorare le nostre vite sono ora gravate da inedite minacce.
Nel momento stesso in cui soddisfiamo i nostri bisogni, spesso da casa le nostre vite vengono saccheggiate e qualcuno guadagna impadronendosi dei nostri dati comportamentali, proprio rubandoli dal luogo più sicuro che crediamo di avere: la casa. In questo momento il risultato è una miscela perversa di miglioramento e peggioramento.
Google e Ford cambiarono la storia in quanto le invenzioni di Ford hanno rivoluzionato la produzione mentre quelle di Google l’estrazione. L’imperativo dell’estrazione vuole che le materie prime vengano accumulate in misura sempre maggiore.
Gli utenti non sono più uno scopo ma un mezzo per raggiungere gli scopi di altre persone. Visto che sempre più aziende inseguono i profitti, sulla spinta di Google, molti talenti nel campo della scienza dei dati si dedicano alla costruzione di modelli predittivi in grado di aumentare i click through per ogni inserzione mirata.
Google ha imparato a diventare un cartomante che legge i dati e sostituisce la scienza all’intuizione . I nuovi sistemi predittivi interessano solo incidentalmente la pubblicità, proprio come la produzione di massa della Ford riguardava solo incidentalmente le automobili. In entrambi i casi i sistemi possono essere applicati in molti ambiti.
Ogni attore interessato a informazioni probabilistiche sul nostro comportamento e/o a influenzare il nostro comportamento futuro può pagare per svolgere un ruolo nel mercato dove i destini di individui, gruppi, corpi e oggetti vengono predetti e venduti
Larry Page aveva capito che l’esperienza umana poteva essere la materia prima di Google estraibile gratuitamente on line ed a un prezzo molto basso nella vita reale dove “i sensori costano pochissimo”. Una volta estratta viene trasformata in dati comportamentali, producendo un surplus che forma la base di una nuova classe di beni da scambiare sul mercato. Noi esseri umani siamo delle “risorse naturali”.
“La nostra ambizione più grande è trasformare l’esperienza che offre Google “ dichiarò Page “rendendola meravigliosamente semplice, quasi magica nel comprendere che cosa vuoi ed offrirtelo immediatamente”
Non ci possono essere confini che limitano la caccia al surplus comportamentale, o territori da non sfruttare. Per questo l’approvvigionamento di Google è iniziato con Search ma si è subito espanso per inglobare nuovi territori perfino più ambiziosi di click e query. Gli archivi di surplus comportamentale di Google attualmente comprendono qualunque elemento del mondo digitale : ricerche, mail, messaggi, foto, canzoni, chat, video, luoghi, schemi comunicativi, atteggiamenti, preferenze, interessi, emozioni, malattie, social network, acquisti e cosi via.
Google e non solo sono dei mutaforma ma ogni forma ha lo stesso fine: “dare la caccia alle materie prime, ossia le risorse naturali, ossia noi esseri umani ed i nostri comportamenti”
Ho iniziato questo articolo con la domanda : Il futuro digitale: sarà la nostra casa?
Personalmente, penso che potrebbe esserlo e che in parte lo sia già, tuttavia, dobbiamo proteggere il nostro futuro e la nostra casa.
Non dobbiamo dunque rinunciare alla libertà in cambio di una conoscenza perfetta
Si è parlato nel corso degli anni di “capitalismo della sorveglianza” ed i capitalisti della sorveglianza si danno da fare per celare i propri intenti, mentre imparano ad usare il potere della strumentalizzazione per dare forma al nostro comportamento senza che ce ne accorgiamo
Le nuove architetture si nutrono delle emozioni per sfruttare e soffocare l’interiorità alla base dell’autonomia personale e del giudizio morale, dell’espressione in prima persona, della volontà di volere, della sensazione di un diritto inalienabile al futuro.
La nostra casa, dovrebbe essere un luogo sicuro, confortevole e funzionale grazie soprattutto all’ausilio delle tecnologie, che non sono “demoni” ma spesso possono diventare “angeli” che ci supportano nella nostra vita.
Lo studio internazionale sulla disconnessione è un buon inizio per cominciare a gestire i 6 principali problemi che derivano dalla iper digitalizzazione: dipendenza, incapacità di disconnettersi, noia, confusione, angoscia e isolamento.
L’angoscia deriva dal patto faustiano che conosciamo fin troppo bene e dal rendersi conto che quasi tutte le loro esigenze logistiche, comunicative ed informative dipendevano da dispositivi connessi in rete : incontrare gli amici è diventato difficile o impossibile, trovare un posto senza una mappa online o accedere ad internet è diventato un problema e anche organizzare una serata in casa è sembrata una sfida.
Quando alla fine del diciottesimo secolo Samuel Bentham, fratello del filosofo Jeremy, progettò il panopticon per controllare i servi ribelli nella proprietà del principe Potemkin, si ispirò all’ architettura delle chiese ortodosse che costellavano la campagna russa. In genere queste strutture erano costruite attorno ad una volta centrale dalla quale il ritratto di un onnipotente “ Cristo Pantocratore” fissava i fedeli, e pertanto l’umanità intera. Non si poteva sfuggire al suo sguardo.
Come un tempo non si poteva sfuggire alla conoscenza ed al potere infinito di Dio, oggi non si può sfuggire allo sguardo degli altri.
“Rifugio e panorama sono due concetti opposti: un rifugio è piccolo e oscuro, un panorama è vasti e luminoso. Ci servono entrambi e ci servono contemporaneamente” Grant Hildebrand -Finding a Good Home
Un’opera di Bachelard in particolare, La poetica dello spazio, è utile per fare i conti con la possibilità di una vita nell’ombra senza uscita. In questo libro Bachelard elabora il concetto di topoanalisi, lo studio di come il rapporto tra sé e mondo esterno si forma nell’esperienza dello spazio, soprattutto di quello spazio che chiamiamo casa:
“ La casa offre rifugio ai sogni a occhi aperti, la casa protegge il sognatore, la casa permette di sognare in pace… La casa è una delle risorse più forti che abbiamo per integrare pensieri, ricordi e sogni. È corpo e anima. È il primo mondo dell’umanità… l’uomo riposa in pace nella culla. La vita inizia bene, inizia tra le quattro mura, protetta, al caldo del grembo della casa …”
Casa è dove apprendiamo l’intimità ed impariamo a essere umani. Offre rifugio, stabilità e sicurezza, che fanno crescere il nostro senso del sé, una identità destinata a pervadere per sempre i nostri sogni notturni e ad occhi aperti. Offre nascondigli, armadi, cassapanche, cassetti, serrature, chiavi per soddisfare il nostro bisogno di mistero e di indipendenza. Le porte chiuse a chiave, accostate, socchiuse, spalancate innescano meraviglia, sicurezza, possibilità, avventura
La nostra famiglia pensò istintivamente tutto questo quando immaginava una casa nuova.
Le coordinate ai termostati, alle telecamere di sicurezza, agli altoparlanti, agli interruttori smart servono per renderci tutto più fruibile. Le serrature ? Scomparse. Le porte ? Sono aperte agli altri
In Psychological Functions of Privacy, Darhl Pederson definisce la privacy come “un processo di controllo dei confini” che invoca il diritto a decidere associato “alla ricerca e alla limitazione delle interazioni”.
La ricerca di Pederson identifica sei categorie di comportamento in relazione alla privacy: solitudine, isolamento, anonimato, riservatezza, intimità con gli amici, intimità con la famiglia.
Il suo studio dimostra che questi comportamenti consentono di ottenere una vasta gamma di “funzioni psicologiche correlate alla privacy fondamentali per la salute mentale ed uno sviluppo riuscito : contemplazione, autonomia, rinvigorimento, formazione della fiducia, libertà, creatività, recupero, catarsi e occultamento. Sono esperienze senza le quali non possiamo avere una vita soddisfacente o dare un contributo alle nostre famiglie, alla comunità o alla società.
Il muro di Berlino è caduto per molti motivi, ma soprattutto perché i cittadini di Berlino Est avevano detto “ basta”! Anche noi possiamo dar vita a novità grandi e belle che ci permetteranno di rivendicare il futuro digitale come casa per l’umanità.
E tutto ciò è possibile con un uso consapevole della tecnologia.
Cerchiamo quindi di trarre la stessa lezione che si può trarre da un romanzo di Mary Shelley, Verne o Wells : la tecnologia in sé è solo uno strumento, non è ne buona né cattiva, è l’uso che se ne fa che la rende tale.
Nel mio articolo “Da Accesso alla rete a Eccesso di rete“ approfondisco questi temi in un modo che spero essere “user friendy”