Olivia Terragni : 5 Settembre 2021 09:24
Autore: Olivia Terragni e Roberto VIllani
Data pubblicazione: 05/09/2021
Droni militari. In poche parole, veicoli aerei da combattimento senza equipaggio, pilotati da remoto e utilizzati in impegni tattici a basso rischio per le guerre infinite e senza confini.
Nella realtà una tecnologia apparentemente invisibile, frutto della scienza della guerra – fatta di dati e codice informatico – che a livello strategico tende a danneggiare le forze avversarie riducendo al minimo il rischio per i propri soldati, in nome del male minore.
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In Italia li chiamano SAPR Sistemi Aeromobili a Pilotaggio Remoto, in inglese sono gli UAVs, Unmanned Aerial Vehicle. Tuttavia, i droni militari, molti non li vedranno mai. Davvero strana circostanza nell’era dei mass media quando si suppone di poter vedere tutto. Eppure, poterne delineare forma e misure, è il primo passo per mappare le reti – digitali e geografiche – che alimentano i droni killer, così come i sistemi politici che li modellano e a loro volta ne sono modellati.
Queste armi senza equipaggio, continuamente perfezionate nel tempo grazie agli algoritmi, hanno ridotto nel tempo il loro peso, le loro dimensioni e la loro capacità di ricognizione. I droni sono stati potenziati per portare con sé armi sempre più distruttive, come i missili anticarro AGM-114 o l’ultimo arrivato Joint Air Ground Jamg, che garantisce grande efficacia distruttiva e alta precisione su ogni bersaglio con effetti letali.
Tra i droni killer l’R9x – attivo da più di 10 anni e meglio conosciuto come “coltello volante”: in concreto un missile a lame rotanti – si, come quelle che sparava Goldrake – che si azionano una volta raggiunto l’obiettivo.
Le lame tagliano e squarciano l’obiettivo, tra cui terroristi o presunti tali, affettati direttamente dentro la loro auto, dopo che il Ninja – altro soprannome di R9x – apre il tetto come un barattolo. Questa l’arma usata dagli americani contro i soggetti considerati pericolosi.
Tra gli attacchi: l’attentatore alla nave USS Cole nel 2000, i terroristi in Siria e recentemente anche l’eliminazione di uno dei soggetti che ha fatto l’ultimo attentato a Kabul, affettato dentro un furgoncino Ape Piaggio di produzione indiana. Ma anche un italiano è morto per opera di un R9x nel 2015: prigioniero di un gruppo estremista pakistano ha purtroppo perso la vita insieme ai suoi carcerieri.
Nel gergo militare tutto questo si chiama “spara e dimentica” – Fire and Forget – perché le cose, lo sappiamo bene, vanno chiamate con il loro nome. E’ il corpo vivente della Lexis aristotelica, che ci insegna che i nomi significano qualcosa. Nomi che dovrebbero farci invece pensare che l’intento della guerra sia quello di perseguire la pace e la giustizia e non fare intendere che la guerra sia il male minore. Nomi che invece spesso ci fanno pensare ad una giustizia sommaria – alias un’esecuzione senza processo – che non dimostra mai successi nella post costruzione delle nazioni.
Fire and Forget. Man mano che le tecnologie militari progrediscono a ritmi veloci, sfidando le nostre capacità cognitive, per noi è sempre più difficile valutare l’etica del loro utilizzo. Ma non solo, sembra che la velocità, che tutto comanda, non lasci molto spazio alla definizione di nome e procedure impiegabili e alla protezione dei diritti umani fondamentali.
Manca inoltre un nuovo trattato internazionale che fornisca una risposta urgente al problema, anche se ancora Israele, Russia e Stati Uniti considerano prematura qualsiasi mossa.
Sono loro che stanno investendo pesantemente nelle applicazioni militari dell’intelligenza artificiale e nello sviluppo di sistemi d’arma autonomi basati su aria, terra e mare, che rientrano nella categoria armi convenzionali, sottoposte alla Convention on Certain Conventional Weapons (CCL) e al Law of Armed Conflict (LAC).
È il 4 Febbraio 2002. Afghanistan. Dopo un volo silenzioso, durato forse ore, il drone della CIA – che sta dando la caccia ad Osama Bin Laden – sgancia un missile HellIfire. Il nome del missile sembra quello di un giocattolo: fuoco infernale. Manovrato a migliaia di chilometri di distanza, il drone, sta per fare il lavoro sporco. Un’esecuzione mirata senza processo. Dopo un volo silenzioso, durato forse ore, la macchina volante sgancia l’arma di infernale contro tre uomini. Terroristi? No. Semplici uomini che stanno raccogliendo rottami di metallo a terra. Il finale: un errore, un target impreciso e tre morti a causa del famoso danno collaterale.
Chi era il supervisore? Chi ha commesso l’errore il 4 Febbraio 2002? L’uomo o la scarsa qualità delle immagini in dotazione alla macchina stessa?
“Non credete ai film che vi mostrano un alto grado di accuratezza delle missioni con i droni”.
Cian Westmoreland, ex tecnico di droni della US Air Force.
Questo non si può dire invece del riuscito attacco a Baghdad a Qasem Soleimani, e altri 9 uomini del suo entourage. Precisione quasi chirurgica. Giustificazione ufficiale: difesa preventiva. Plausibile, impossibile da verificare.
Incredibile tuttavia quanto la tecnologia ci faccia sentire spesso privati spesso di quella parte umana, che parla di “diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza degli individui”. Siamo davvero poco più che un’immagine sgranata che ha perso informazioni durante l’ultima compressione, sia nel caso militare quanto civile.
Ed oggi grazie ad una tecnologia ibrida dual use le attività criminali e terroristiche ne sono entrate in possesso. Ne sanno qualcosa in Messico, dove il cartello Jalisco New Generation (CJNG) usa i droni contro le forze di sicurezza nazionali e per il traffico di droga.
Ma rimaniamo sul concetto di guerra. Nonostante l’errore impietoso del 2002 i droni hanno continuato tutti questi anni ad invadere i cieli di molti paesi instabili, feriti dalla guerra civile: oltre all’Afghanistan, il Pakistan, lo Yemen, la Somalia. Senza dimenticare l’Iraq. Nonostante gli obiettivi imprecisi i droni armati di artiglieria hanno continuato a colpire. Ma, sebbene gli obiettivi siano sempre stati sospetti terroristi e criminali, i droni hanno fatto centinaia di vittime nella popolazione civile, usata come scudo dai terroristi.
Chi è il supervisore?
Il padre che ha dato il via alla creazione dei “piccoli aerei robotici”, – droni o tecnologia UAV (Unmanned Aerial Vehicles) – transformando la guerra moderna, è Abraham Karem, ingegnere aeronautico nato a Baghdad. E’ lui che ha creato il Drone Predator per omicidi mirati, quello più temuto al mondo, mentre stava solo cercando di far stare in aria un robot.
E quasi per una fortuita coincidenza karmica l’Iraq – porta dell’Iran sul Mediterraneo e ambiguo sulle sue relazioni internazionali – ritorna in questo momento come unito da uno stesso destino all’Afghanistan. Biden ha dichiarato che gli USA ritireranno le truppe entro la fine di quest’anno, lasciando il campo alle milizie sciite sostenute da Teheran.
Abraham Karem, ingegnere aeronautico nato a Baghdad
Gli USA si ritirano e il conflitto. lasciando la sciagurata Italia ad assumere il comando del nuovo impegno Nato nel Paese e beneficio degli alleati. La guerra intanto – nel contesto contemporaneo – va oltre i teatri della guerra tradizionale. I droni della NATO – i global Hawk – partono dalla base di Sigonella e tengono d’occhio tutto il Mediterraneo, spingendosi sul fronte libico e ovviamente in Iraq e Iran. Ma le sperimentazioni attuali all’interno della NATO – si dice – porteranno gli alleati a dotarsi di capacità di contrasto sempre più performanti.
Così oggi oltre che con dazi, sanzioni, qualche volta si combatte con i droni che cambiano e si evolvono come le macchine intelligenti e naturalmente come le guerre che si stanno combattendo. Guerre chirurgiche, o guerre di robot, senza o con pochissime perdite di soldati. Non lo stesso si può dire per i civili, anche se purtroppo in assenza di dati ufficiali, fino a quando nel 2013 viene aperto un dossier dedicato ai robot letali – o Lethal Autonomous Robots – dallo Human Rights Coucil nell’ONU.
Drone Shadow – James Brindle
Ed è così che dall’11 Settembre 2001, i droni vengono armati. Quei droni che prima di quella tragica data venivano utilizzati per individuare le basi Narcos in Sud America, come i centri Hezbollah in Iran e in Libano. Prima dell’11 Settembre George Tenet, direttore CIA disse che la tecnologia dei droni militari era uno sbaglio, eppure la lotta al terrorismo era stata oramai dichiarata necessaria.
Intanto le grandi industrie di armamenti iniziano così a produrre i droni killer che si moltiplicano negli USA, come in Israele, in Francia, nel Regno Unito, Germania, Corea del Sud, Corea del Nord, Pakistan e Russia.
Nel luglio del 2020, Phil Twyford, il ministro neozelandese per il disarmo e il controllo degli armamenti, ha avvertito che gli attuali colloqui diplomatici “non stanno dando risultati”. I 31 paesi ad oggi che chiedono il divieto dei robot killer? Algeria, Argentina, Austria, Bolivia, Brasile, Cile, Cina , Colombia, Costa Rica, Cuba, Gibuti, Ecuador, Egitto, El Salvador, Ghana, Guatemala, Santa Sede, Iraq, Giordania, Kazakistan, Messico, Marocco, Namibia, Nicaragua, Pakistan, Panama, Perù, Stato di Palestina, Uganda, Venezuela e Zimbabwe.
“Per molti di noi, l’idea che un computer possa identificare e attaccare autonomamente un obiettivo è irragionevole”. Phil Twyford
Tuttavia nel 2021 un drone bomba si dirige contro l’ambasciata USA a Baghdad, poi il raid USA in Afghanistan, l’attacco contro al-Anad, dei ribelli Houthi, nel Sud dello Yemen: 100 vittime, tra morti e feriti, per lo più soldati tramite 3 missili balistici carichi di esplosivo. L’attacco all’aeroporto di Abha in Arabia Saudita.
Chi è il supervisore? Un pilota di droni può prendere decisioni basandosi solo su algoritmi e dati forniti da dei sensori, disumanizzando la guerra. Il supervisore è l’uomo che ben sa che l’effetto della sua azione deve essere calcolato sul rapporto rischio/beneficio, che non dovrebbe agire in presenza di situazioni altamente impreviste e incontrollate, né essere responsabile di incidenti laddove il suo dito è schiacciato sul botton war.
Fine della storia, ma la questione è molto più complessa di così, anche se un drone non ha coscienza, per quanto molti si sforzino di adattare – in modo romantico – le leggi della robotica di Asimov ad una macchina senz’anima e capacità cognitiva. Forse “smart” ma non esattamente intelligente e non nel modo in cui pensiamo noi e quindi non intuitiva.
Un soldato umano può rifiutare gli ordini, un robot no.
I droni oggi compiono distanze intercontinentali, oggi, i droni, possono essere anche assemblati artigianalmente, il loro software può essere alterato, eventuali sistemi di geo-fencing o codici identificativi possono essere rimossi da software reperibili in rete i loro transponder disattivati. I droni duali possono favorire l’accesso ai server, favorire la penetrazione nei sistemi operativi e la violazione delle reti wireless. Infine si tratta sempre di una tecnologia che può essere violata.
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Oggi legalmente gli USA utilizzano i droni a Kabul come strumento di assistenza umanitaria, dove quindi si sostiene che l’uso della forza sia legalizzata, dove il drone non è un’arma ma solo un meccanismo di consegna di munizioni, contro obiettivi militanti. Rimane quindi un’alternativa per l’intelligence mirata invece dell’utilizzo delle forze di terra, che potrebbe invece provocare un’escalation del conflitto e ulteriori vittime. E poi c’è il rovescio della medaglia: i droni potrebbero sicuramente rimpiazzare la presenza fisica delle forze militari ospitate da un paese per la sorveglianza a distanza e la protezione della popolazione civile da minacce imminenti. senza mai nemmeno sganciare un missile.
A livello legale la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – che riconosce la centralità della dignità umana – ribadisce il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Questo diritto deve essere protetto dalla legge e il divieto di uccisioni o esecuzioni extragiudiziali è ormai un principio vincolante per tutti gli Stati che sono chiamati a rispettare, proteggere e realizzare questi principi in favore della PACE.
D’altra parte solo in casi eccezionali – ad esempio illecita e imminente minaccia di morte o lesioni gravi certe e reali quindi non potenziale – la forza armata può essere utilizzata secondo appunto il principio del male minore. Tutto questo non permette operazioni punitive o ritorsive. In sintesi: un omicidio punito è inconcepibile senza una precedente sentenza pronunciata. Le regole previste dai trattati internazionali per i diritti umani andrebbero rispettate anche nel caso di attività di sorveglianza, ricognizione, ricerca, o per spiare i movimenti di un’intera popolazione.
Inoltre ci sono i dilemmi morali. Dilemmi che si dividono tante volte quanti diversi codici morali esistono in base alle tradizioni religiose o culturali. Può essere eticamente consentito l’uso di macchine telecomandate per uccidere il nemico? In che misura sono in grado di discriminare tra combattenti e civili? Come si misura il giusto o lo sbagliato? In quali casi l’uso della forza è concesso?
Nonostante non siano programmati per ferire gli esseri umani o ledere la loro dignità, i robot possono potenzialmente mettere in pericolo la loro integrità sociale, morale e fisica.
È essenziale quindi – anche nel raggiungimento di un unico consenso – ora tracciare un confine. Perché fino prova contraria la macchina ancora non può esprimere il suo. L’idea di un robot Killer completamente autonomo ora sembra molto più realtà che fantascienza, dove, se esiste la tecnologia, oggi ogni cosa può venire costruita. E la tecnologia evolve anche molto rapidamente.
E mentre la tecnologia del male minore evolve facendo sembrare il nucleare obsoleto c’è chi invece seriamente ironizza sul prodotto drone. Il video sotto è uno scherzo: tratta di un piccolo drone – con 3 grammi di esplosivo e guidato dall’Intelligenza artificiale – che sta sul palmo di una mano. Con questa piccola arma puoi colpire con estrema precisione solo gli uomini cattivi e le cattive ideologie dove iniziano. Esattamente in testa, nella testa dell’uomo.
Si, si tratta del male etico del male minore. E’ anche il problema del carrello ferroviario, un problema filosofico morale famosissimo e riguarda l’etica.
Tu stai conducendo un treno sulle rotaie, tutto va bene sino a quando sui binari vedi un uomo. Lo vuoi salvare e stai per tirare la leva per deviare il binario a sinistra, quando a sinistra vedi invece un gruppo di ben 5 uomini. Cosa fai? Pensa prima di procedere nella lettura.
Naturalmente risponderesti che il male minore è che uno muoia per salvare gli altri. Ma non è proprio così.
Chi è quell’uomo? Non sarà mica destinato a salvare la vita di milioni di persone? e chi sono quei 5 uomini?
A te l’ardua sentenza e la responsabilità di decidere cosa fare. Ma sappi che salvarne 5 è intento utilitaristico, quella che massimizzerebbe il benessere per il maggior numero di persone, ovvero renderebbe un numero maggiore di persone felici. Eppure ti porteresti comunque dietro il fardello della responsabilità per quell’uomo. Ma come si fa a stabilire se una vita è più importante di un’altra?
Non ci sono scelte giuste, vedi?
Fonte immagine: Al Margen (@al_margen_insta) • Foto e video di Instagram