Daniela Farina : 30 Gennaio 2023 06:53
Negli ultimi anni i processi di innovazione tecnologica e informatica hanno avuto un forte impatto sul mercato del lavoro.
Le competenze legate a questi ambiti sono infatti diventate tra le più richieste e remunerate, dando di conseguenza un grande slancio anche ai percorsi di studio di tali discipline.
In questo contesto, il divario tra uomini e donne è ancora più marcato.
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Osservando i dati da una prospettiva di genere, quello che emerge è la grave carenza di donne occupate in questo settore.
ll rapporto tra le donne e il settore ICT è sempre stato complicato.
Nonostante la presenza di grandi figure femminili nella storia dell’informatica, le donne continuano a essere solo una minoranza in questo settore.
La genetica, la formazione, il contesto sociale, i pregiudizi?
La realtà è che non esiste un cervello fotocopia tra maschi e femmine. Il cervello maschile e quello femminile sono diversi sin dalla nascita, oltre che nell’anatomia anche nel loro modo di funzionare.
Le differenze non implicano alcun giudizio di superiorità o inferiorità, di maggiore o minore intelligenza ma sono esplicitamente il risultato del fatto che nel corso dell’evoluzione, uomini e donne hanno svolto ruoli diversi. Gli uomini e le donne stimano diversamente il tempo, giudicano in modo differente la velocità, possono orientarsi diversamente nello spazio e nel tempo e nel riconoscimento delle sfumature emotive, come il linguaggio verbale e la pianificazione dei compiti. Tuttavia se scartiamo le teorie più obsolete (e sessiste) riguardo le presunte differenze biologiche tra uomini e donne, rimangono due risposte:
Condizioni dell’ICT poco interessanti per le donne
Per capire da dove hanno origine queste tendenze, è necessario guardare a quei pregiudizi sociali e culturali che agiscono sulle scelte delle donne fin da bambine, a partire dalla decisione rispetto a quale percorso di studio intraprendere.
Questa tendenza non può essere ricondotta, esclusivamente, a una questione di preferenze individuali.
Spesso la spiegazione è da ricercare in quegli stereotipi e pregiudizi che vedono le bambine come “naturalmente” più portate a percorsi di studio umanistici, al contrario dei propri pari maschi, che sarebbero invece portati per studi tecnici e scientifici.
Da un lato abbiamo la costruzione di un discorso sociale in cui certe professioni “non sarebbero fatte” per le donne e dall’altro troviamo un mercato occupazionale che non riesce ad attirarle.
ll primo freno è rappresentato quindi da profondi stereotipi culturali e pregiudizi di genere.
ll tessuto sociale, le famiglie e lo stesso mondo dell’istruzione, a partire dai primissimi anni della scuola dell’infanzia, contribuiscono spesso in modo importante a determinare convinzioni e pensieri limitanti nelle giovanissime.
L’educazione di genere, su cui ancora oggi è fondata l’ideologia predominante della nostra società, risulta ancora fortemente basata sui concetti di categorie, ben lontani da un’idea di inclusione verso cui il mondo più recente sta cercando di dirigersi, con sempre maggiore convinzione e consapevolezza.
Se pochissime donne, ancora oggi, scelgono di iscriversi alle facoltà STEM per poi entrare nel mondo ICT è, dunque, prima di tutto a causa di ciò che viene detto loro dalla famiglia, dalla scuola e dalla società.
Già in tenerissima età le bambine ricevono messaggi molto chiari che le spingono verso precise discipline e interessi, ritenuti più indicati e idonei alla loro “personalità” e “natura”, considerate esclusivamente in un’ottica universale in base al genere di appartenenza e non alla specificità del singolo. Lo si vede già con la scelta dei giochi, delle attività da fare e degli sport cui sono indirizzate.
Una recente ricerca inglese ha messo in luce come le bambine abbiano tre volte in meno rispetto ai maschi la probabilità di ricevere un giocattolo ispirato al mondo scientifico.
Eppure, l’infanzia è un terreno fertile per la stimolazione di interessi e gusti che potranno in futuro rappresentare materie da esplorare più scientemente, fino a veri e propri percorsi scolastici, carriere universitarie e professioni.
Ecco perché su questo aspetto la pedagogia attuale sta cercando di mettere in atto una cultura dell’educazione sempre più inclusiva, che possa permettere alle bambine di oggi di diventare donne più libere di scegliere da sé il proprio futuro.
Un esempio concreto in questo senso è rappresentato dall’iniziativa di Mattel in collaborazione con ESA (l’Agenzia Spaziale Europea), che ha realizzato una Barbie astronauta ispirata a Samantha Cristoforetti, con lo scopo di contribuire ad abbattere quel sistema culturale fallato, che porta le bambine a generare convinzioni autolimitanti e pensieri critici verso le proprie capacità e potenzialità, allontanandole da possibili percorsi futuri ambiziosi e ricchi di possibilità.
Oltre, infatti, ai messaggi impliciti ed espliciti della società, cui le donne sono sottoposte a partire dall’infanzia, l’allontanamento è dovuto in parte anche a una mancanza di fiducia e autostima da parte delle donne stesse, risultato, appunto, di quel processo ideologico e culturale che vivono ed assimilano inconsapevolmente.
E’ necessario, intervenire fin dai primissimi anni della scuola dell’obbligo per riuscire ad invertire la tendenza e cambiare a livello culturale e sociale lo stereotipo della scarsa capacità femminile di padroneggiare matematica, informatica e tecnologia.
L’introduzione di nuove discipline oppure corsi “ad hoc” svolti da personale altamente qualificato potrebbero sicuramente essere di grande aiuto in tal senso.
Bisogna poi comunicare l’elevato impatto sociale e creativo dell’informatica.
Questo può incoraggiare le bambine e le giovani donne nella scelta del proprio futuro, in quanto creatività e valore sociale sono le principali motivazioni che spingono spesso le donne a scegliere una professione o una disciplina di studio.
Marisa Bellisario prima grande dirigente d’azienda italiana, nella sua autobiografia, diceva:
Amalia Ercoli-Finzi, prima donna a laurearsi in Ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano meglio conosciuta come «la signora delle comete» dichiarava in una intervista:
«La nostra società fa di tutto perché le donne non si sentano all’altezza. Questa cosa ce la portiamo dietro come una palla al piede» e per riuscire in tutto ho applicato la “legge dei tre metalli”: nervi d’acciaio, salute di ferro e marito d’oro, che non è l’uomo che ti aiuta a caricare la lavapiatti. Se lo fa, tanto di guadagnato, ovvio. Però, per me, il marito d’oro è quello che ti incoraggia e che, al momento buono, ti dice: Ce la puoi fare. Ho conosciuto tante donne che, se fossero state spronate, sarebbero state professionalmente molto più soddisfatte. E più contente nella vita.
Trovo che sia un errore da parte delle donne pensare che le occasioni interessanti di lavoro siano solo nel terziario da “colletto rosa”: le donne possono e devono essere presenti, con la stessa creatività, nell’industria e nella politica. La tecnologia è la migliore amica delle donne»
L’incoraggiamento, può arrivare dal partner ma prima ancora deve arrivare dalla nostra scuola e dalla famiglia, ricordiamocelo.
L’informatica e la tecnologia possono diventare per le donne delle grandi alleate per conquistare spazi di professionalità e realizzare nuovi modelli di vita e lavoro.
Partendo da un percorso di studi di tipo umanistico, vi posso dire che ho incontrato il mondo ICT comprendendone quasi subito l’importanza per risolvere i problemi e soprattutto scoprendone anche alcuni aspetti interessanti e divertenti.
Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione Europea ha dichiarato:
“La tecnologia è troppo importante per essere lasciata solo agli uomini! Ogni settimana incontro donne eccezionali nel campo della tecnologia. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione non sono più per pochi smanettoni. Sono fantastiche e sono il nostro futuro! Ormai non ci sono dubbi: più donne in azienda vuol dire aziende più prospere.”
La sicurezza dei sistemi informatici dipende dallo sforzo collettivo di tutti e favorire l’inserimento delle donne deve essere una soluzione alla mancanza di persone qualificate nel nostro paese per affrontare la domanda di questo tipo di professioni.
E’ auspicabile quindi partire dalle scuole dell’obbligo e con paziente consapevolezza smontare i pregiudizi, ricostruendo una nuova immagine della donna, perché non debba più essere messa in un angolo e trattata alla pari, pronta a fornire il proprio personale contributo.
Occorre contestualmente incoraggiare e sostenere le donne, nel mondo del lavoro, attraverso programmi di formazione sulle competenze digitali.
Upskilling e reskilling non devono rimanere solo parole.
L’espressione inglese “upskilling” indica proprio il processo di adeguamento e arricchimento delle proprie competenze – soprattutto digitali. Fare upskilling significa letteralmente fare un upgrade delle proprie competenze.
Reskilling, invece, significa riqualificare le proprie competenze, puntando proprio a quei “lavori del futuro” in grado di assicurare buone opportunità di crescita personale, economica e professionale.
ll mondo del lavoro sta cambiando, anzi è già cambiato in modi di cui forse non siamo ancora pienamente consapevoli. Una più equilibrata presenza di genere, deve costituire un primo passo fra i tanti necessari per una concreta Digital Transformation.
Nessuna trasformazione sociale può attecchire dove non vi siano pari opportunità di accedervi e solo le aziende che sapranno cogliere l’importanza di tre concetti chiave : equità, inclusione e clima aziendale incoraggiante e positivo, potranno rimanere competitive, in un mondo che cambia a ritmi sempre più veloci. Non dimentichiamocelo mai!
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