Olivia Terragni : 23 Marzo 2023 06:56
La cyber o digital forensics è reazionaria o predittiva? In cosa consiste il lavoro di chi recupera i dati da un dispositivo con l’obiettivo di rivelare le prove di un’attività criminale?
La digital forensics è di solito reazionaria, come ci sottolinea Sonia Cenceschi “eccellenza nel mondo della consulenza forense”, così come comunica il premio appena ricevuto alla Forensics Awards 2023 per la sezione audio forensics. Si perchè Sonia Cenceschi, donna, ingegnere, ricercatrice, scienziata, si occupa di tutte quelle questioni complesse del mondo audio-forense che ai molti sono sconosciute.
Tuttavia mentre la tecnologia avanza, ci piace pensare che il lavoro dei professionisti della digital forensics potrà sempre più aiutare un giorno a prevedere i crimini informatici futuri. Se infatti la cyber security agisce in materia di difesa dei sistemi e delle reti per proteggerli dai potenziali aggressori, oggi la digital forensics si concentra sull’identificazione, l’acquisizione, l’elaborazione, l’analisi e la segnalazione di dati archiviati elettronicamente e rappresenta un supporto importantissimo alle forze dell’ordine e per quelle aziende che a seguito di incidenti informatici – ad esempio in caso di spionaggio industriale – devono recuperare i dati persi.
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Ultimo ma non meno importante la digital forensics, come la cyber security, è un campo vastissimo, dove ci sono moltissime specializzazioni, che applicano la scienza alla ricerca di prove dai media digitali, come computer, telefoni cellulari o reti,ad esempio per identificare la causa o il motivo di un attacco, salvaguardando le prove del crimine, trovare i tools utilizzati dai cyber criminali o geolocalizzare i loro accessi. Tra le discipline che compongono la digital forensics vi è quella di cui Sonia è diventata un’eccellenza, l’audio forense. E’ lei a raccontarci i segreti, le sfide e le opportunità di questo settore, dove “linguisti, periti fonici e ingegneri devono intersecare le loro competenze per risolvere uno specifico quesito” e risolverlo.
Sonia Cenceschi, che è appena stata insignita del premio Forensics Awards 2023 per la sezione audio forensics, come “eccellenza del mondo della consulenza forense per il suo costante impegno, per la competenza e per la dedizione nell’approfondire, studiare e condividere, con rigoroso metodo scientifico, tutte le complesse questioni del mondo audio-forense nel campo del quale si è rapidamente affermata e fatta apprezzare sia in contesti nazionali che nei più prestigiosi ambiti internazionali”, è ricercatrice presso il Servizio di Informatica Forense della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) è nel del comitato scientifico dell’associazione italiana Forensics Group (https://www.forensicsgroup.eu/) e membro dell’Osservatorio sulla Linguistica Forense (OLF: https://olf.aisv.it/) dell’ Associazione Italiana Scienza della Voce (AISV: https://www.aisv.it/). Con una laurea triennale in Ingegneria con tesi in acustica (Università di Pisa), ha conseguito la Laurea Magistrale in Musica Elettronica e Tecnologie Audio presso il Conservatorio di Musica G. Verdi di Como con una tesi incentrata sulla percezione legata al restauro audio digitale, acquisisce il titolo di Dottore di Ricerca (cum Laude) presso il Politecnico di Milano, presso il Gruppo di ricerca ARCSLab, dipartimento DEIB.
Nel 2010, dopo la Masterclass SAMPL (DEI e Conservatorio C. Pollini di Padova) dedicata alla conservazione, restauro e fruizione delle registrazioni, inizia ad esercitare come professionista nel campo delle applicazioni forensi e musicali del restauro e analisi dell’audio digitale compiendo diverse esperienze all’estero, tra cui il Department of Forensic Speech Science della York University e lo SpinLab dell’Università dei Paesi Baschi a Bilbao). Iscritta dal 2014 come esperto in analisi audio forense presso l’albo dei periti penali del Tribunale di Como, collabora attivamente con le Forze dell’Ordine del nostro paese e della Svizzera italiana. Sonia non è solo una delle professioniste più accreditate del settore audio forensics, ma è una donna che ci può raccontare come con la volontà, la passione, la curiosità e l’utilizzo delle proprie abilità si possono raggiungere grandi competenze.
OLIVIA: Sonia, grazie per avere accettato questa intervista su Red Hot Cyber e benvenuta! Sono onorata di poter farti qualche domanda riguardo un settore di cui poco si parla ma che ha fatto e sta facendo grandi progressi nel campo dei reati informatici. Hai appena vinto il Forensics Awards 2023 per la sezione Audio Forensics e volevo citare alcune tue parole a seguito della notizia “l’’audio forense ha bisogno di coesione, collaborazione e sano confronto (in fondo di ciò che ogni settore e ambito della vita necessiterebbe)”. Sono parole importanti, che sottendono ad una mancanza. Puoi raccontarci di più?
SONIA: Ti ringrazio di offrirmi l’opportunità di argomentare, perché se da un certo punto di vista quelle parole possono sembrare ripetitive, dall’altro suonano un po’ perentorie. Il settore dell’audio forense soffre pesantemente della dicotomia classica che attanaglia un po’ tutte le professioni altamente specialistiche, ovvero quella che dal punto di vista privilegiato a cavallo dei due mondi definisco “accademia” Vs “realtà”.
Sembrerò provocatoria ma desidero invece essere propositiva: lo studio, la conoscenza, il metodo scientifico sono imprescindibili perché abbiamo “tra le orecchie” e nelle mani, spesso, il futuro delle persone. Quindi è necessaria la conoscenza, ma questa deve essere calata nella realtà, dove le ipotesi saltano (es. i criteri di definizione di un campione o di un esperimento) e i fattori di disturbo sono molteplici, quali le tempistiche, il materiale degradato, la mancanza di standard, la pressione sociale ed emotiva (si pensi ad esempio all’ascolto ripetuto di audio contenenti materiale pedopornografico o violenze).
A rovescio è pur vero, come viene ripetuto da anni dagli esperti del settore, che non si può per questo effettuare perizie senza adeguata preparazione, e la mancanza di uno standard nella definizione dell’esperto audio forense e delle sue competenze ha creato una situazione difficile per tutti, da chi deve scegliere il perito ai periti stessi, per riflettersi poi tragicamente sulla collettività. La parola che uso più spesso è “ginepraio” perché durante questi anni di crescita professionale ho vissuto in prima persona e collezionato racconti di altri professionisti che sarebbero addirittura complicati da raccontare per complessità. L’unica soluzione è che chi possiede gli strumenti per migliorare la situazione lavori assieme, evitando guerre inutili e degradanti che sono fisiologiche di ogni ambito lavorativo. Nel tempo ho assistito a molti avvenimenti a dir poco imbarazzanti in tal senso, ma oggi il tema è maturo per poter muoverci oltre, soprattutto perché il lavoro (purtroppo o per fortuna) non mancherebbe per nessuno.
OLIVIA: Quale è stata la molla che ti ha portato ad essere ciò che sei oggi, come persona e sul lavoro, soprattutto, cosa ti ha portato a perfezionarti e quali sono gli sviluppi più promettenti del tuo settore?
SONIA: la prima spinta, sono sincera, fu la sfida. Contribuire a un settore ancora in espansione, ma “cacciando” le conoscenze necessarie era una tentazione irresistibile. Non esiste oggi, figuriamoci allora, una laurea per “diventare periti audio forensi” ed io ero una studentessa che cercava di unire il proprio percorso alla passione per il suono: andare a cercarmi il nutrimento mi esaltava e così finii a York. La seconda molla fu il desiderio di lavorare, ma facendo qualcosa che amassi e che fosse al contempo utile alla società.
Andando avanti ho toccato con mano quella realtà di cui parlavo in precedenza, i rischi del mestiere, i problemi pratici (es. La lotta impari con le vacazioni), e soprattutto il peso emotivo di aver a che fare con la voce delle persone, con contenuti dilanianti e spesso anche ingiustizie. Tuttavia, nonostante il “ginepraio” di cui parlavo, oggi la situazione si è evoluta, le informazioni sono più raggiungibili e se ne parla maggiormente. La tecnologia ha fatto i classici balzi in avanti con incredibile velocità, anche se io, vedendo quanto sia difficile applicare la scienza e comunicarla, appartengo a chi è cauto nel decantare le possibilità applicative delle tecnologie più recenti.
OLIVIA: Partiamo con le grandi domande: Iniziamo dal titolo che non è esaustivo degli argomenti di cui ci parlerai ma è importante partire da questo: la cyber o digital forensics – soprattutto nel tuo campo che è l’audio forensics – è reazionaria o predittiva?
SONIA: Direi nella pratica prevalentemente reazionaria. Semplificando, il caso classico è: avviene un crimine ed esistono delle registrazioni ad esso connesse e questi materiali vengono analizzati per ricavare indizi utili alla ricerca del colpevole o delle responsabilità. Anche quando viene applicata (con criterio) in fase di indagine preliminare, non per cercare un colpevole, ma per acquisire informazioni utili per evitare un crimine, non può essere definita predittiva perchè non viene (ancora) utilizzata per simulare e prevedere, ma solo per ricavare informazioni da elementi già esistenti (es. Sesso del parlatore, contenuti linguistici, ubicazione).
OLIVIA: Veniamo alle due ragioni per cui ti ho posto la prima domanda. La prima riguarda le infinite possibilità della trasformata di Fourier (FFT- Fast Fourier Transform), che secondo una fonte, poteva essere l’algoritmo che avrebbe potuto fermare la corsa agli armamenti nucleari, il primo che ha decodificato un segnale isolando ogni frequenza. Cosa ne pensi di queste osservazioni, di questo affascinante algoritmo e delle sue infinite possibilità nel tuo campo di azione e nella vita reale?
SONIA: È un po’ la dimostrazione del perché la ricerca va finanziata, di quali siano i tempi realistici di sviluppo e applicazione pratica di molte scoperte, e di come la scienza non sia lontana dal mondo reale come molti pensano o vogliono che si pensi. Guardando all’audio, ottenere uno spettrogramma particolareggiato addirittura con un cellulare sarebbe stato impensabile fino a poco tempo fa. Se da un lato il paradigma del cambio di dominio offre spunti applicabili nei contesti più disparati, è vero che un’adeguata potenza di calcolo niente sarebbe stato realizzato.
La trasformata di Fourier è del 1822, la FFT del 1965 e l’articolo prende probabilmente spunto da questa pubblicazione di Stockham (https://rlg.fas.org/690600-fft.pdf) che contiene anche altre affascinanti considerazioni sul contesto dell’epoca e come la scienza sia legata anche alla politica e ai rapporti internazionali (cose che accadono anche in questo momento a vari livelli, senza scomodare la bomba atomica!). Del resto anche il primo modello teorico di neurone artificiale è del ‘43 (McCulloch & Pitts), le reti neurali sono state teorizzate nel ‘49 da Hebb ed è del ‘58 la prima rete feedforward Perceptron (Rosenblatt). Guarda dove siamo ora! E oggi dobbiamo affrontare nuove sfide, come trovare dei trucchi quando possibile per poter andare incontro alle “macchine”: è un problema che ci pone delle domande riguardo i limiti invalicabili dell’hardware e i “colli di bottiglia” sempre più difficili da gestire.
OLIVIA: Analisi predittiva. Anche se la matematica – e questo è il tuo campo – insegna che ci saranno sempre asserzioni vere impossibili da dimostrare, attraverso l’analisi della voce e l’intelligenza artificiale c’è chi prova a rendere il crimine predittivo. Parlo di Rita Singh del Language Technologies Institute della Carnegie Mellon University, che afferma che con un audio di pochi millisecondi sia possibile fornire alla polizia un ritratto visivo 3D di un sospetto (come ad esempio altezza, precisa posizione fisica e descrizione dell’ambiente). Quali sono i progressi che si stanno facendo sul campo?
SONIA: I progressi sono enormi (quantomeno a livello di ricerca), tuttavia il mio scetticismo riguarda il quando potranno essere applicati.
Se da un lato l’intelligenza artificiale permette di automatizzare molti processi e i progressi sono esponenziali, non so quando e quanto si riusciranno ad applicare i risultati di ricerche come questa nella realtà. Forse sarò pessimista, ma la legnosità della burocrazia e la frammentazione delle tecnologie, perlomeno sul nostro territorio, mi suggeriscono che i passi da fare siano prima di tutto nel campo dell’alfabetizzazione digitale. Non riesco ad immaginare che una procura oberata di pratiche, che ancora utilizza il fax, con risorse operative sottodimensionate, possa accettare l’utilizzo di una tecnologia predittiva come quella studiata da Singh (e molti altri) quando si fatica a comprendere la presenza di errori percettivi in trascrizioni rumorose o ad acquistare un software di registrazione. Il lavoro che citi, nel paper originale, ci fornisce un esempio pratico senza andare nei dettagli del funzionamento di una rete neurale avversaria.
Ad esempio dice “…given a voice recording it must generate a face image that plausibly belongs to that voice.” ma il concetto di plausibile, la cui scelta condivido con gli autori, non va molto d’accordo con l’ambito audio forense. Loro stessi elencano i promettenti risultati sottolineando però i punti che vanno ancora migliorati e i problemi legati ad esempio a fattori non biometrici, come il colore dei capelli. Molti visi sono somiglianti all’originale, ma sarebbero di intralcio in un’indagine perché è semplice e affascinante a posteriori valutare i punti in comune, ma se dovessimo cercare una persona con i connotati ricostruiti dalla rete saremmo sicuramente confusi. Sono un po’ dura in tal senso, ma la tecnologia deve essere estremamente robusta per poter solo pensare di utilizzarla in un contesto reale, almeno per quanto riguarda la voce umana. Ci arriveremo ed è importante continuare la ricerca, ma la tecnologia va immersa nella realtà, e soprattutto regolamentata (ma questo è un altro discorso!). Del resto, l’avvento di OpenAI e i database sempre più ampi a disposizione dei ricercatori potranno aiutare a superare la fase di stasi dovuta alla mancanza di dati da parte dei “piccoli”, ma questo è ancora un altro discorso!
OLIVIA: Insegni che la voce è un’impronta digitale: il modo in cui i nostri polmoni espirano, le corde vocali risuonano, gli articolatori agiscono, è unico. Che cosa racconta veramente di noi la nostra voce? E quanto può essere utile la sua analisi per incastrare un criminale o identificare la provenienza linguistica di un terrorista?
SONIA: È un’impronta digitale che però muta nel tempo! Qui sta il suo fascino, essa dipende dalla nostra fisionomia ma anche dal nostro vissuto e dalle nostre esperienze quotidiane. Può raccontare tantissimo, dalla componente sonora alle parole che pronunciamo, ogni volta che parliamo riversiamo sugli altri una marea di informazioni che vanno dalle nostre probabili origine geografiche alla ricchezza del nostro lessico, agli aspetti più emotivi e apparentemente reconditi della personalità. Per chi fosse curioso, durante il dottorato ho provato a teorizzare un modello che sintetizzasse un po’ tutti gli aspetti che influenzano il suono di una semplice frase (Calliope) e questo forse risponde meglio alla prima parte della tua domanda.
L’analisi vocale è fonte di indizi molto utili in campo forense, bisogna stare solo attenti a come utilizzare i risultati. Possiamo ipotizzare la provenienza, la fascia di età, il sesso e il livello culturale di un parlatore, ma il problema nasce quando l’aspettativa è una risposta certa. Non mi stanco mai di ripetere che aspettarsi un risultato binario da una perizia è concettualmente sbagliato e socialmente pericoloso. Capita, per carità, che un’analisi porti a risposte certe ma sono casi rari, questo perché il dato reale su cui lavoriamo è un dato la cui qualità, durata, contenuto (etc.) non possiamo controllare. Per fornire un esempio concreto: dieci secondi di audio rumoroso (es. Qualcuno che parla in primo piano ma in un ristorante gremito di avventori) non forniranno magari risposte scientificamente certe riguardo un quesito, ma potranno concorrere con altri indizi, durante un’indagine, a restringere il campo e arrivare prima al risultato. Chiarito questo, restano solo lati positivi.
OLIVIA: Veniamo ai deep fake. Audio e video falsi potrebbero inaugurare una nuova e terrificante era del crimine informatico in futuro? Che cosa potrebbe rendere complicato il loro rilevamento?
SONIA: Il deep fake sta già raggiungendo livelli impressionanti e sta facendo già ad oggi molti danni. Sono continue le denunce di video manipolati in giro per il web, non ultima ad esempio l’ennesima questione di fake vocali divulgati su 4chan. Finché modifichiamo le nostre foto con le App AI per farci cantare i Backstreet Boys va tutto bene, ma teniamo conto che con pochi strumenti e un po’ di conoscenze informatiche chiunque può avventurarsi in questo mondo e creare audio video pericolosi per terzi. L’informazione può essere manipolata e la disinformazione alimentata, il revenge porn estremizzato con contenuti neppure veri come pure la radicalizzazione in rete, e così via.
Il tema è enorme e la regolamentazione ancora scarsa, creando non pochi problemi: dalla proprietà intellettuale a questioni di sicurezza nazionale, urge un intervento sistematico e una divulgazione più spinta per sostenere i non esperti nello sviluppo di uno spirito critico che li protegga perlomeno in fase di contatto. I contenuti audio-video stanno migliorando esponenzialmente e sarà sempre più difficile accorgersi delle differenze ad occhio nudo (es. piccoli difetti nel movimento o nei colori). Lo sviluppo di algoritmi e software di fake-detection ha subito un’impennata negli ultimi anni, con promettenti risultati che ad oggi superano di gran lunga la valutazione umana, ma la mia percezione è che serva un’accelerata anche “bottom-up” perché come per tutti i crimini informatici l’attaccante è sempre un passo avanti rispetto alla vittima e ormai sono sempre più raffinate le tecniche di social engineering al servizio dei criminali informatici.
OLIVIA: Visto che abbiamo parlato di cyber crime, veniamo ad un punto importante. TrendMicro ha portato alla luce un dato incredibile: sembra che la partecipazione femminile alla criminalità informatica sia di gran lunga superiore a quella di tutti i tipi di criminalità, raggiungendo nel settore circa il 30% ( secondo altri dati il 41%) degli utenti forum XSS in lingua russa e il 40% degli utenti di Hackforums in lingua inglese. Questo dimostrerebbe che le capacità informatiche nelle donne siano più sviluppate di quanto si pensi?
SONIA: La mia opinione personale è che le donne siano perfettamente in grado di svolgere lavori informatici esattamente come l’uomo. Le differenze penso siano sostanzialmente culturali, e che ora stiano sfaldandosi dando modo anche alle donne di svolgere mansioni fino a poco tempo fa ritenute prettamente maschili. Vedo che tutti, donne e uomini in maniera indistinta (e poco importa delle personali statistiche) tendono a sottovalutare, spesso inconsciamente, le capacità informatiche femminili. Esistono ancora pensieri vecchi e stereotipati, ma la tendenza sta affievolendosi, o almeno questa è la mia percezione da donna che bazzica ambienti di settore.
Riguardo al report, mi viene in mente una discussione avuta tre anni fa con una ricercatrice straniera che riguardava il telelavoro. A causa del covid oggi abbiamo più dimestichezza col lavoro a distanza, ma mi disse era una pratica molto utilizzata da donne che lavorano in ambito informatico per grosse società conto terzi. È solo uno spunto, ma immagino che con lo sdoganamento dei ruoli e con l’alta necessità di personale informatico che viviamo, per una donna sia ottimo cogliere l’occasione di poter lavorare davanti a un computer senza doversi recare in azienda quando ha da svolgere anche mansioni casalinghe. Tutto per dire che le percentuali dipendono anche dal contesto sociale e che con la pandemia molti equilibri sono cambiati. Tutti possono fare tutto se messi nelle condizioni giuste e paritarie.
OLIVIA: Siamo arrivate a un argomento che mi tocca da vicino: sfide e opportunità per le donne che lavorano nel campo della sicurezza informatica. Non solo. Quale è la situazione italiana, vista con i tuoi occhi e vissuta sulla tua pelle?
SONIA: La mia personale percezione, è che tendiamo un po’ tutti a sottovalutare, inconsciamente o meno, la donna che svolge un ruolo tecnico (si, esatto, anche noi stesse!), ma anche che sia una tendenza destinata a scemare, perché la nostra partecipazione è in costante aumento. Le opportunità sono molte poichè c’è necessità di personale qualificato e questo prescinde dal sesso: come dire “Whatever Works”.
Personalmente sono stata molto fortunata e ho lavorato sempre in contesti molto equilibrati. Le cose più spiacevoli che mi sono capitate sono niente rispetto a quelle di professioniste di altri ambiti e riguardano praticamente solo personaggi un po’ fuori contesto, non ben integrati nel settore poiché ancora legati a visioni antiche e superate del ruolo maschile e femminile. Solitamente si tende più a sminuire il professionista giocando sull’età, come se non si possa essere persone capaci sotto i 50 anni (giovane ormai significa quello!), ma usare queste tecniche ridicolizza solo l’attaccante. Diversa è la mia visione del mondo accademico, dove ancora resistono in alcuni ambiti dinamiche stantie, ma questa è un’altra storia.
Olivia: Parliamo di vulnerabilità: una debolezza che può essere sfruttata da un utente malintenzionato, tipicamente nel codice di un software, anche se la vulnerabilità umana è di gran lunga l’anello più debole della sicurezza informatica. Arrivo al dunque: le donne sono più vulnerabili degli uomini?
Sonia: Non direi. Per una volta sarò sintetica!
Olivia: E’ vero secondo il tuo parere che ci sono capacità innate, oppure è solo questione di allenamento? Ad esempio, quanto comprendere la matematica è importante nel tuo lavoro e soprattutto, è questione di allenamento?
Sonia: Parlerei forse più di propensioni naturali che di capacità innate (ad esempio il famoso orecchio melodico), ma non sono abbastanza esperta di questi temi per entrare nel dettaglio (per fortuna tua e dei lettori). Parlando di persone “normali” e non dei geni che spesso vengono citati in questi frangenti, propenderei per un approccio cauto: la propensione accompagnata da un grande allenamento può portare ad ottimi risultati, ma raramente basta a se stessa per raggiungere le alte vette.
Però è anche vero che non ti alleni se non sei altamente motivato, per cui alla base di tutto a mio avviso restano la forza di volontà personale e la passione. Forse sono un po’ troppo “romantica” ma mi piace scomodare Hillman e pensare che siamo anche frutto, nel bene e nel male, degli incontri che facciamo lungo il percorso e di quanto essi ci aiutino o meno a risvegliare e seguire il nostro Daimon. Insomma, non ti ho risposto, quindi tornando a noi: la matematica è importante quotidianamente per la ricerca applicata che conduco in università, mentre mi è servita in passato per arrivare a utilizzare gli strumenti e i metodi che applico oggi come perito audio.
Olivia: Puoi raccontarmi una tua esperienza o un traguardo che hai raggiunto nel tuo campo e di cui sei orgogliosa?
Sonia: Per rispondere a questa domanda devo per forza citare i colleghi del Servizio di Digital Forensics e il nostro responsabile, il Dott. Alessandro Trivilini, di cui condivido la visione pragmatica e concreta. Sono nata entusiasta, iperattiva e poco paziente, ma insieme ai miei colleghi stiamo “costruendo” con pazienza e sano spirito di abnegazione. L’entusiasmo è rimasto, ma ho imparato le arti dell’attesa e della pianificazione, che sono essenziali per raccogliere frutti solidi nel lungo periodo. Sono orgogliosa di questo cambiamento e di essere parte di questo gruppo, perché dimostriamo ogni giorno che si può lavorare al di fuori di dinamiche tradizionali che ormai appartengono al passato senza dover essere schierati con qualsivoglia fazione. Siamo un gruppo giovane, affiatato, che si autofinanzia da anni con progetti in collaborazione con le aziende del territorio: questo significa dover essere resilienti (parola che non amo ma che sintetizza bene) e concorrenziali, ma anche arrivare a dei risultati concreti. Non è facile, ma in un mondo che promuove la “cultura” del tutto e subito, sono certa che sia l’unica strada possibile per distinguersi e costruire qualcosa di concreto.
Olivia: Se ci fosse qualcuno interessato a seguire le tue impronte, da dove potrebbe partire?
Sonia: cercare un ambito che lo appassioni, anche estremamente settoriale, in cui specializzarsi e formarsi, a costo di re-inventarsi ogni giorno. Non lasciarsi spaventare dalla mancanza apparente di “mentori” nel senso più classico, perché se l’ambito è specifico probabilmente non esisteranno percorsi standard da seguire o la famosa “pappa pronta”.
Seminare, inviare cv, contattare chi ne sa di più e domandare, mostrarsi curiosi ed esserlo. Questo in generale, mentre in ambito audio forense consiglio un’esperienza all’estero per una full immersion presso istituti e università che lavorino a stretto contatto con Forze dell’Ordine e Tribunali, per acquisire una visione concreta ma anche le conoscenze giuste per costruire poi, eventualmente, un background che possa essere adattato al contesto italiano. Per concludere vorrei sfatare un mito: che lavorare con l’audio nel forense renda ricchi! Può capitare ma la strada è lunga e tortuosa. Molti negli anni mi hanno scritto in cerca di lavoro, palesemente attirati dalla possibilità di facili guadagni (col minimo sforzo) e spiegata loro la situazione hanno subito rinunciato. Il denaro non può essere il primo motore per intraprendere questa strada e anche se per indole ritengo che sia una regola generale, di sicuro posso affermarlo per quest’ambito, dove uno stipendio degno di tale nome viene raggiunto solo a costo di grande impegno e perseveranza.