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Cervello umano vs cervello artificiale : differenze e conseguenze sul nostro futuro

Daniela Farina : 15 Gennaio 2024 07:10

Voler porre sullo stesso piano il cervello umano e quello artificiale, è molto difficile. Raccontare del cervello significa anche parlare dell’uomo, delle sue qualità e del suo pensiero.

Il senso del limite sta nella straordinaria grandezza e complessità di quest’organo. Dal punto di vista della struttura anatomica il cervello umano è diviso in due: da un lato riconosciamo il cervello deterministico e dall’altro quello plastico. Il primo ha una configurazione biologica stabile a partire dalla nascita il secondo mantiene una plasticità, organizzandosi sulla base delle esperienze.

Volendo ricorrere a una felice espressione della fenomenologia, possiamo definire questo incontro come rapporto io-mondo. Vivere significa che il singolo deve adattarsi alle condizioni del mondo e soprattutto averne coscienza.

La coscienza

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Corrisponde alla percezione che l’uomo ha di essere vivo e distinto dal luogo in cui è. I filosofi hanno sintetizzato questa caratteristica dell’uomo con l’espressione di Cartesio ”Penso, quindi sono” poi capovolta da Kant per sottolineare che nel tempo viene prima la percezione dell’io rispetto alla capacità di pensare.

La coscienza per definirsi ha bisogno di legarsi al tempo e permette di affermare l’identità.

L’identità

L’identità è dunque ciò che non muta con il passare degli anni. A questo punto è necessario ampliare la dimensione dell’identità: nell’uomo si distingue l’identità individuale (io); l’identità di genere (maschio e femmina) e l’identità sociale, che contempla il ruolo, ciò che uno è per l’altro.

Era necessario introdurre la coscienza perché il confronto tra cervello umano e cervello artificiale può essere considerato in termini di distanza evolutiva. Al cervello artificiale mancano la coscienza l’identità, la fede, l’empatia ed il sentimento. Quest’ultimo permette di passare dalla dimensione singola, individuale a quella dell’altro.

L’amore è la condizione sentimentale estrema poiché è la rappresentazione di un legame totale, in cui l’uno finisce per confondersi con l’altro tanto da far perdere l’identità singola, l’io diventa un noi. Un legame di questo tipo non è possibile con nessuna macchina proprio perché la macchina manca di sentimento e di intimità.

“La macchina ci supera in tante cose, nella capacità computazionale e nella velocità di calcolo”, mette subito in chiaro Giulio Maira professore di Neurochirurgia di Humanitas Milano, ma una delle caratteristiche peculiari del cervello umano è la sua plasticità.

Abbiamo imparato che, in senso globale, il cervello umano è deputato a realizzare da una parte il pensiero e dall’altra l’affettività. E che il cervello digitale non ha alcuna capacità di entrare nel mondo dei sentimenti. Il cervello artificiale è il maestro dell’informazione, mentre quello umano è il connubio di razionalità ed affettività.

Il declino dell’uomo

I cervelli artificiali, pur privi di molte caratteristiche importanti ed esclusive del cervello umano, come l’affettività, la fede, la coscienza e l’identità stanno radendo al suolo aziende e posti di lavoro, con incredibile velocità.

I lavoratori non hanno il tempo e l’opportunità di acquisire le competenze richieste dai nuovi lavori. Se tutto avvenisse lentamente, i miglioramenti risultanti dalla produttività potrebbero essere meglio gestiti ma il tempo è tiranno. Le tecnologie sono in grado di rimpiazzare una grande varietà di professioni. 

Lavoratori in eccesso e competenze obsolete sono un prodotto di scarto dei progressi economici accelerati, proprio come i gas ad effetto serra. Senza dubbio molti scrittori di talento hanno già saggiamente lanciato l’allarme a proposito dei rischi dei recenti avanzamenti tecnologici. Alcuni hanno espresso la preoccupazione sotto forma di storie emozionanti, altri hanno utilizzato capacità analitiche da economisti.

L’evoluzione accelerata del nostro ecosistema spinto da continui cambiamenti tecnologici e relative minacce, impone di guardare con occhi nuovi il futuro.

Ma cosa fanno più di noi le macchine intelligenti?

Innanzitutto ci battono in numero di elementi computazionali e velocità di operazione.

L’intelligenza delle macchine riproduce alcune delle caratteristiche dell’intelligenza umana:

  • la capacità di ricordare e analizzare informazioni (organizzate dai progettisti umani)
  • la capacità di prendere decisioni secondo criteri predeterminati
  • la capacità di apprendere dall’esperienza (per mezzo del confronto con i dati già immagazzinati e in base a regole previste e applicate attualmente solo a problemi specifici e limitati)

In alcune di queste attività le macchine ottengono ottimi risultati, e colpisce l’immaginario collettivo l’abilità dei computer di competere a scacchi con i grandi campioni umani, riuscendo a sconfiggerli. L’azione dei robot e l’Intelligenza artificiale compiono con precisione e rapidità i compiti per cui sono state programmate, determinati dagli algoritmi.

Ma non ci sono algoritmi in grado di riprodurre le emozioni e i sentimenti!

La rivoluzione digitale ci sta rendendo stupidi?

Alber Einstein affermava “Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre l’umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti”

Perché?

Mentre impariamo a riporre fiducia in questi sistemi che ci trasportano, ci presentano potenziali partner, personalizzano le nostre notizie, proteggono le nostre proprietà, monitorano il nostro ambiente, crescono, preparano e servono il nostro cibo, educano i nostri bambini e curano i nostri anziani, sarà facile non cogliere il grande disegno.

Ci offriranno il minimo richiesto per mantenerci soddisfatti mentre si intascano gli extra profitti. ll mondo si è affidato completamente alle macchine, arrivando addirittura a dubitare di sé stesso e delle proprie capacità.

La tecnologia è diventata una sicurezza, piuttosto che un aiuto e ha distolto l’attenzione anche dalle cose che prima si davano per scontate: fare una passeggiata al parco, il dialogo genitore-figli, leggere un libro. I ragazzi sono la prova che il mondo digitale ha stravolto completamente la vita. Se oggi, ad esempio, un ragazzo deve affrontare un compito accende il pc, va su un motore di ricerca, digita la parola e copia tutto quello di suo interesse che trova scritto. In passato, invece, si mettevano in moto una serie di competenze cognitive: attenzione, analisi del testo, memoria, capacità di sintesi, curiosità.

Inoltre, come ha ottimamente spiegato Lamberto Maffei, medico e ricercatore “ Le sollecitazioni imposte dai videogiochi, ad esempio, hanno una velocità superiore a quella di trasmissione sinaptica, e quindi di fatto impediscono il pensiero naturale, che è un pensiero lento”.

Ogni scoperta tecnologica, potremmo dire seguendo il pensiero di Nicholas Carr, scrittore statunitense, ha comportato un’eterna, per certi versi inevitabile, contraddizione tra avanzamento e regressione. Ha allontanato l’uomo dalle sue naturali capacità cognitive proprio mentre ne acuiva o ne rivelava nuove potenzialità.

Alcuni scienziati hanno chiamato questo fenomeno : disruptive innovation. Non si tratta di un concetto negativo, ma del prendere coscienza del fatto che vi sono delle fasi dell’innovazione, specialmente quella legata alla tecnologia, che implicano la distruzione di ciò che era stato fino ad allora acquisito. Tipico è l’esempio del cellulare che ha quasi del tutto soppiantato il telefono fisso.

Senza dubbio molti scrittori di talento hanno già saggiamente lanciato l’allarme a proposito dei rischi dei recenti avanzamenti tecnologici. Alcuni hanno espresso la preoccupazione sotto forma di storie emozionanti, altri hanno utilizzato capacità analitiche da economisti.

Se non si trasmette la cultura dell’Umanesimo ed una filosofia del digitale diventeremo nel giro di pochi anni perfetti come le termiti, vivremo guidati da macchine e non avremo la consapevolezza di tale condizione.

Parafrasando Jean Paul Sartre: “ La tecnologia digitale rischia di essere una libertà quando la si progetta e una gabbia quando la si è realizzata “

Conclusione

L’evoluzione digitale deve essere un processo collaborativo tra uomo e macchina. Bisogna cercare di comprendere questa evoluzione e guidarla. La complementarità tra uomini e digitale, tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale, risulta necessaria.

Si tratta, in altre parole, di gestire, pragmaticamente, i tempi e le modalità della transizione digitale con strategie di investimento e di sollecitazione tali da ridurre i gap occupazionali che si determinano di volta in volta, lungo la traiettoria dei singoli luoghi e settori.

Kevin Kelly, executive editor di Wired nel suo libro sulle reti, sostiene che” l’economia della rete è basata sulla tecnologia, ma la si può costruire solo sulle relazioni: essa parte con i microprocessori e finisce con la fiducia “

Per questa ragione oggi i ricercatori delle scienze informatiche e ingegneristiche devono aprirsi al dialogo con i ricercatori in scienze sociali umanistiche e psicologiche. Nonostante i grandi progressi degli ultimi anni nel campo della robotica e dell’informatica, siamo ancora molto lontani dal replicare il cervello umano che possiede punti caratterizzanti che, almeno fino ad ora, le macchine non sono riuscite a emulare.

Una mente artificiale in grado di apprendere autonomamente può monitorare gli umori delle persone grazie a opinion mining e sentiment analysis, ma non potrà mai avvertire sentimenti come l’amore o l’amicizia, provare emozioni come quelle che si provano prima di un lungo viaggio o recepire la bellezza dei quadri di Botticelli o di un Caravaggio.

Dice Papa Francesco : “ Non rinunciare mai alla felicità perché è uno spettacolo incredibile” E il professore Giulio Maira aggiunge ” Ed il nostro cervello, di questo spettacolo incredibile è la parte più bella”

Daniela Farina
Laureata in filosofia, in psicologia, counselor professionista, mental coach, appassionata di mindfulness. Umanista per vocazione lavora in Cybersecurity per professione. In FiberCop S.p.a come Risk Analyst.

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