Redazione RHC : 17 Ottobre 2024 08:00
Il giovane hacker di 24 anni Carmelo Miano è stato arrestato a Roma dopo aver violato numerosi account e sistemi informatici della Procura di Napoli. A quanto riporta il quotidiano La Repubblica, l’hacker avrebbe violato anche la casella di posta elettronica di Nicola Gratteri.
Per oltre quattro anni, l’hacker ha sfruttato le sue abilità per accedere illegalmente a migliaia di file riservati, tra cui ordinanze giudiziarie e documenti sensibili, rubando password e diffondendo malware. Le indagini, condotte dalla Polizia Postale, hanno rivelato che l’hacker utilizzava più identità per sfuggire alle autorità.
L’operazione che ha portato all’arresto è stata condotta dai magistrati Sofia Cozza e Vincenzo Piscitelli, i quali hanno sottolineato la gravità del danno arrecato ai sistemi di sicurezza del Ministero della Giustizia. Da quanto è stato riportato, l’hacker conosceva le password di ben 46 PM.
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Durante l’arresto, l’hacker è stato trovato in possesso di una notevole quantità di dati rubati, inclusi documenti giudiziari ancora sotto segreto investigativo. Questo caso è considerato una delle più serie violazioni informatiche subite dal sistema giudiziario italiano negli ultimi anni
Il giovane, originario di Gela, è accusato di “accesso abusivo a sistema informatico finalizzato al dossieraggio e alla diffusione di malware”. Le autorità stanno indagando su possibili mandanti o complici, e altri tre sospetti sono già sotto inchiesta. Il coinvolgimento dell’hacker non si limita solo al furto di informazioni: ha anche cercato di sfruttare le sue incursioni digitali per influenzare procedimenti giudiziari, mettendo a rischio indagini in corso.
Nicola Gratteri, uno dei magistrati colpiti dall’attacco, ha commentato che la minaccia rappresentata dall’hacker ha costretto molti della sua Procura a sospendere temporaneamente l’uso delle comunicazioni digitali, tornando a utilizzare metodi tradizionali per evitare ulteriori compromissioni. Anche Giovanni Melillo, procuratore nazionale Antimafia, ha espresso la sua preoccupazione, evidenziando come questo tipo di attacchi informatici metta a rischio la sicurezza dello Stato.
La vicenda ha destato allarme non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche nell’opinione pubblica, poiché solleva serie domande sulle capacità di difesa informatica delle istituzioni. Gli esperti suggeriscono che questo incidente debba servire da monito per rafforzare le misure di sicurezza, specialmente nel settore giudiziario, spesso oggetto di attacchi da parte di cybercriminali sofisticati.
Conoscere le password di 46 magistrati e accedere ripetutamente ai loro account implica una violazione massiccia e sistematica dei sistemi informatici, la quale solleva gravi interrogativi sulle misure di sicurezza adottate. Se l’hacker ha ottenuto accesso ai token di autenticazione legati a ciascun terminale, significa che ha avuto accesso fisico o remoto a ogni dispositivo, un’impresa complessa e particolarmente avanzata.
Dalle informazioni diffuse sui media, Miano aveva accesso ai PC dai quali recuperava le password di accesso con uno script sui browser degli utenti. Qualora fosse stata attivata la MFA, il secondo fattore sarebbe stato trasmesso sullo smartphone e quindi su una APP Authenticator o tramite SMS. Quindi oltre al PC avrebbe dovuto violare anche gli Smartphone dei magistrati oppure aver sfruttato le falle del protocollo SS7 per l’intercettazione degli SMS, cose effettivamente molto evolute.
Se la multi-factor authentication (MFA) non era presente, l’accesso alle caselle di posta elettronica sarebbe stato incredibilmente facile per un cybercriminale con sufficienti competenze e gli accessi corretti. La MFA, che richiede più livelli di verifica, è oggi uno standard basilare per proteggere le credenziali, rendendo qualsiasi sistema senza questa misura vulnerabile anche agli attacchi più semplici.
Sebbene tutto questo risulti ancora da chiarire da parte della Magistratura, nel caso in cui tale misura non sia stata implementata viene da dire come sia possibile che un settore così strategico per la sicurezza nazionale non abbia adottato protezioni basilari di questo tipo per proteggere le caselle di posta elettronica dei suoi magistrati.
Come spesso abbiamo riportato, Oggi esiste una letteratura sterminata su quelle che sono le buone pratiche di sicurezza informatica, oltre a molte normative e direttive che ci hanno insegnato importanti lezioni su come implementare e controllare una buona postura cyber.
Il problema è che avvengono costantemente cose terribilmente paradossali negli incidenti informatici che non sono motivabili da un “accidentalità” dovuta ad un’alta sofisticazione di un “attacco di livello”. Pertanto occorre fare delle giuste considerazioni e dire una cosa che a molti non piacerà, ovvero: per fortuna che ci sono i Data Breach!
In generale, la maggior parte delle aziende dopo un attacco informatico si organizza spendendo tantissimi soldi per avviare miglioramenti o programmi cyber. Tanti soldi quanti non avrebbero mai pensato di spendere in tutta la loro esistenza sulla cybersecurity.
Ma questa volta i soldi non sono di un azionista di maggioranza di una multinazionale americana, i soldi sono di noi cittadini. Pertanto speriamo che questi vengano finalmente spesi bene!