Daniela Farina : 16 Gennaio 2025 08:02
Cosa accade quando un esercito di bot prende di mira un sito web di una organizzazione?
Gli attacchi DDoS (Distributed Denial of Service) rappresentano una minaccia sempre più diffusa per le organizzazioni di ogni dimensione in un contesto geopolitico sempre più teso e complesso. Anche se si tratta di un momentaneo disservizio di un sistema – come spesso riportiamo su queste pagine, il lato psicologico lo fa da padrone in quanto gli hacktivisti cercano proprio la risonanza mediatica per poter ottenere il più ampio consenso.
Quindi non si tratta di un problema meramente tecnico, ma rappresenta una vera e propria sfida psicologica. Comprendere le dinamiche psicologiche legate a questi attacchi è fondamentale per sviluppare strategie di prevenzione e risposta più efficaci per il futuro. Andiamo a esplorare le implicazioni psicologiche di questi eventi, spesso sottovalutate.
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La direttiva NIS2 rappresenta una delle novità più importanti per la sicurezza informatica in Europa, imponendo nuovi obblighi alle aziende e alle infrastrutture critiche per migliorare la resilienza contro le cyber minacce.
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Un attacco DDoS è una vera e propria emergenza per gli specialisti cyber, il management delle organizzazioni e tutti gli addetti ai lavori coinvolti. La pressione di dover ripristinare il servizio il più rapidamente possibile può generare un livello di stress estremamente elevato. La paura di non riuscire a risolvere la situazione può portare a errori di giudizio e a un peggioramento delle prestazioni.
L’improvvisa interruzione dei servizi essenziali genera un senso di impotenza e paura. La percezione di essere sotto attacco può scatenare la paura soprattutto quando le conseguenze economiche sono significative. La paura è decisamente l’emozione che maggiormente si respira nella nostra società ed è la prima emozione che prova chi è colpito da un attacco cyber. Inoltre, la consapevolezza di essere vittima di un crimine digitale può provocare ansia,soprattutto quando non si riesce a individuare l’aggressore o a ripristinare rapidamente il servizio
La parola ansia, negli ultimi tempi, è diventata talmente comune da allargare il suo utilizzo fino ad indicare, potenzialmente, qualsiasi situazione di paura o di incertezza. Ma siccome i modelli (anche linguistici) ci forgiano, è utile fare un pò di chiarezza sul significato del termine.
A differenza della paura, scatenata da un fatto preciso e destinata ad esaurirsi quando il pericolo si allontana, l’ansia può durare anche parecchio tempo. Può essere fisiologica o patologica. Quella generata da un attacco cyber, solitamente, è fisiologica e può durare anche diversi giorni. È costituita da un incrementarsi repentino di sensazioni paurose ed è legata a motivazioni reali.
Un attacco cyber, infatti, oltre agli stop dell’operatività ed agli enormi esborsi di denaro necessari a ripristinare i sistemi informatici compromette la reputazione aziendale. Il personale IT si trova spesso sotto pressione per ripristinare il sistema e per garantire la sicurezza informatica dell’azienda. Dovendo comunicare con il Management e spiegare la situazione con un continuo aggiornamento sul ripristino del sistema,vive dei veri e propri giorni di fuoco e corre sempre contro il tempo!
La consapevolezza di essere vittima di un crimine digitale può provocare rabbia e frustrazione, soprattutto quando non si riesce a individuare l’aggressore o a ripristinare rapidamente il servizio.
Chi è chiamato a gestire l’emergenza può sperimentare anche un forte burnout a causa dello stress e della pressione di dover risolvere rapidamente il problema.
Mitigare le conseguenze psicologiche degli attacchi DDoS richiede un approccio olistico che coinvolga sia l’azienda che i suoi leader. Investendo nella comunicazione, nel supporto psicologico e nella creazione di una cultura della sicurezza, le aziende possono proteggere non solo i propri sistemi informatici, ma anche il benessere dei propri dipendenti.
Gli attacchi DDoS non sono solo una minaccia tecnologica, ma una vera e propria battaglia psicologica.
Un attacco DDoS è come un terremoto che scuote le fondamenta della nostra società digitale. Le scosse possono essere contenute, ma le onde d’urto psicologiche si propagano a lungo, lasciando segni indelebili.
È nostro dovere costruire edifici più resistenti, sia fisicamente che psicologicamente. Per difenderci efficacemente, dobbiamo investire non solo in soluzioni tecniche, ma anche nella salute mentale dei nostri team.
È tempo di riconoscere che la cybersecurity è una disciplina che coinvolge tanto la mente quanto la macchina.
Il futuro della cybersecurity non è solo tecnologico, ma anche umano.
Dietro ogni attacco DDoS c’è una persona, una mente che ha deciso di seminare caos e distruzione.
La difesa contro gli attacchi DDoS richiede un approccio multidisciplinare che combini le più avanzate tecnologie di sicurezza con una profonda comprensione della psicologia umana. Solo così potremo proteggere le nostre infrastrutture critiche e garantire la continuità dei servizi essenziali.
Immaginiamo un mondo in cui la resilienza psicologica sia parte integrante delle nostre difese informatiche.
Un mondo in cui gli attacchi DDoS non siano più una minaccia, ma un’opportunità per rafforzare la nostra connessione umana.
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